La seguente presentazione mette a confronto i due poli fondamentali del trapianto: il ricevente ed il donatore.
Il trapianto renale rappresenta la migliore opzione terapeutica per il paziente affetto da insufficienza renale cronica in fase uremica, sia in termini di qualità della vita che di sopravvivenza.
Molteplici fattori influenzano la sopravvivenza del graft a breve e lungo termine. Tra questi consideriamo fattori di tipo organizzativo, immunologico e relativi al paziente, sia donatore che ricevente.
Il trapiantato rappresenta un entità molto ampia da un punto di vista epidemiologico: in Italia sono stati effettuati più di 1500 trapianti annui già dall’anno 2000, con un picco raggiunto nell’anno 2004. Successivamente si osserva un plateau numerico con un leggero decremento negli ultimi anni.
I trapianti di oggi vengono eseguiti su una popolazione dialitica che si è modificata rispetto a 10 anni fa. Le fasce di età 45-64 anni e > 65 anni sono in incremento, sia nella popolazione dialitica che in quella trapiantata.
La sopravvivenza del paziente doipo trapianto è altamente influenzata dall’età e dal numero di comorbidità del ricevente. In Italia oltre il 90% dei pazienti affetti da IRC sono comorbidi con un indice di Charlson > 3.
Il numero di donatori in Europa per milione di abitanti non si è modificato significativamente nel corso degli ultimi 10 anni, eccetto in alcuni paesi come l’Italia dove è aumentato da 17.1 a 21.7 donatori per milione di abitante. Resta il dato che il numero di donatori disponibili non è sufficiente a soddisfare la grande domanda di trapianto renale.
Nello specifico, anche nei donatori si assiste ad un aumento dell’età media.
Nei donatori, così come nei riceventi, si è assistito ad un incremento delle comorbidità con più del 15% di donatori definiti “marginali”.
Numerosi studi riportano dati positivi di trapianti in pazienti anziani. Tuttavia l’età e le comorbidità del donatore e del ricevente influenzano la sopravvivenza del graft.
Dai dati della nostra casistica trapiantologica, confermati anche dalla letteratura internazionale, si evince che la sopravvivenza del graft è inversamente correlata all’età del donatore.
Un alto numero di comorbidità presenti nel paziente trapiantato si associa ad una ridotta sopravvivenza dia del graft che del paziente.
La morte cerebrale induce un fenomeno di ischemia renale attraverso l’attivazione del sistema simpatico, del complemento, dei toll-like receptors, della cascata citochinica/fattori di crescita. A ciò va associato lo stato di ipotensione arteriosa spesso presente nel donatore con morte cerebrale.
La riperfusione dell’organo trapiantato aumenta il rischio di sviluppare una ritardata ripresa funzionale (Delayed Graft Function) attraverso diversi meccanismi.
La fase di preservazione dell’organo è interessata da un lungo periodo di mancata perfusione. In questo nostro lavoro del 2009 si evidenzia come la tipologia di preservazione incide sulla vitalità dell’organo. Nell’ipotermia semplice si ha una maggiore produzione di ATP rispetto alla perfusione continua che di conseguenza assicura una maggiore vitalità del graft.
Il numero di mismatch HLA influenza la sopravvivenza sia del graft che del paziente. In lavoro di Opelz conferma tale correlazione.
Fattori ambientali legati al donatore ed al ricevente interagiscono tra di loro influenzando il raggiungimento del successo del trapianto.
Bisogna effettuare due considerazioni in merito alle liste di attesa per trapianto in Italia: 1. il numero di ingressi è superiore al numero di usciti per trapianto; 2. la quota dei pazienti con minor trapiantabilità è in costante crescita.
Come si osserva nella composizione della lista di attesa di Bologna, circa il 20% dei pazienti è iscritto in lista per ritrapianto.
La mortalità del paziente in lista è maggiore di quella nel paziente trapiantato ma minore rispetto a quella del paziente in dialisi.
La lunga permanenza in lista aumenta il numero di comorbidità e di conseguenza la mortalità.
Tra le strategie per incrementare il pool dei donatori consideriamo in questa presentazione i donatori marginali e quelli a cuore non battente. Invece, per aumentare la trapiantabilità dei riceventi, si applicano protocolli specifici di desensibilizzazione e di induzione della tolleranza nel ricevente.
Tra i sistemi di classificazione per la allocazione degli organi provenienti da donatori marginali si utilizzano sitemi basati su variabili istologiche, cliniche o combinati. Il sistema istologico di Karpinski è quello maggiormente usato in Italia.
Lo score di Karpinski prende in considerazioni diverse variabili istologiche che valutano il grado di sclerosi glomerulare, l’atrofia tubulare, la fibrosi interstiziale e la stenosi vascolare. In base al punteggio finale i reni vengono allocati per trapianto singolo (score < 4) o doppio (score > 5).
Lo score di Nyberg considera variabili cliniche come riportato in tabella la cui somma totale inserisce il donatore in determinate categorie cui si associa una diversa sopravvivenza del graft.
In questo nostro lavoro del 2013 abbiamo documentato una corrispondenza tra lo score di Karpinki e la funziona renale 3 anni dal trapianto, applicando retrospettivamente i criteri di Nyberg e verificando come l’associazione dei due sistemi di allocazione potrebbe ridurre il numero di biopsie renali, migliorando la tempestività del processo trapiantologico.
In Italia il trapianto da donatori a cuore non battente si effettua al momento esclusivamente nell’Ospedale di Pavia.
I donatori a cuore non battente sono distinti in 6 diverse categorie sulla base delle modalità di arresto cardiaco.
I risultati relativi alla sopravvivenza del graft sono positivi ma comunque inferiori se confrontati ad altre tipologie di donatori.
In altri stati come il Regno Unito i donatori a cuore non battente sono ampiamente utilizzati.
Tra i protocolli di desensibilizzazione volti ad aumentare la trapiantabilità del ricevente, l’utilizzo di anti CD20 come il Rituximab associato ad Igvena ha mostrato risultati soddisfacenti.
In questo lavoro che ha coinvolto pazienti candidati a trapianto vivente con con donatore HLA incompatibile si è utilizzato un protocollo con plasmaferesi associate alla somministrazione di immunoglobiline.
In questo studio invece viene utilizzato un protocollo di immunoadsorbimento pre-post trapianto, differenziando i risultati in base alla positività o meno del cross-match ed alla presenza di specificità anticorpali.
Questo lavoro dimostra come lo stato di iperimmunità non si associa necessariamente a fenomeni di rigetto.
Esistono comunque anche lavori di non efficacia dei protocolli di desensibilizzazione, soprattutto in quei pazienti altamente ipeimmuni.
La storia del trapianto di rene è iniziata in Italia quasi 50 anni fa ma riserverà sicuramente delle nuove “armi” che, ci auguriamo, aumenteranno la possibilità di garantire un trapianto a tutti i pazienti in lista d’attesa.
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