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FAD - La Primavera Nefrologica


Modulo: Trapianto Renale

Il trapianto da donatore vivente: modalità

release pubblicata il  22 ottobre 2014 
da Umberto Maggiore

Figura 1 di 41.



Figura 2 di 41.

Il primo trapianto renale della storia fù un trapianto da donatore vivente. Nessun bisogno di terapia immunosoppressiva: era fra gemelli identici



Figura 3 di 41.

La dialisi ambulatoriale cominciò ben dopo il primo trapianto da donatore vivente



Figura 4 di 41.

La possibilità di effettuare un trapianto tra due persone geneticamente dissimili  (diverse per antigeni HLA) si realizzo grazie all’avvento della terapia immunosoppressiva antirigetto.



Figura 5 di 41.

Grazie alla terapia immunosoppressiva la diversita’ nel match HLA non ha piu’ rappresentato un grosso problema. Un trapianto tra coniugi (dissimili per HLA) ha sopravvivenza altrettanto buona di un trapianto tra consanguinei (simili per HLA) e comunque migliore di quella di un trapianto da cadavere. La terapia immunosoppressiva anti-rigetto previene infatti che il sistema immunitario del donatore produca una reazione immunitaria contro l’HLA del donatore (tramite cellule T alloreattive, e gli anticorpi)



Figura 6 di 41.

Il trapianto da donatore vivente ha avuto due grosse evoluzioni nelle epoche recenti: sul versante chirurgico (prelievo per via laparoscopica) e sul versante immunologico: trapianto in un ricevente che presenti anticorpi per il donatore, e protocolli speciali e sperimentali che consentano la sospensione permanente della terapia immunosoppressiva, evitandone gli effetti collaterali



Figura 7 di 41.

Questa diapositiva mostra la tecnica di prelievo per via laparoscopica



Figura 8 di 41.

Questa è una fotografia di un reale intervento di prelievo



Figura 9 di 41.

Questa diapositiva riassume i vantaggi del prelievo per via laparoscopica rispetto a tecnica aperta



Figura 10 di 41.

Sul versante immunologico grossi progressi sono stati compiuti per superare la barriera rappresentata da incompatibilità immunologica (quando nel ricevente sono già presenti anticorpi diretti verso gli antigeni del donatore, prima ancora che venga compiuto il trapianto)



Figura 11 di 41.

Oltre la metà dei donatori viventi non sono giudicati idonei per la presenza di anticorpi donatore-specifici: HLA («crossmatch positivo») e ABO.



Figura 12 di 41.

Che l’incompatibilità di gruppo sanguigno rappresentasse una controindicazione al trapianto lo si sapeva prima ancora che Murray realizzasse il primo trapianto renale della storia



Figura 13 di 41.

La presenza di anticorpi HLA citotossici rappresenta una controindicazione assoluta al trapianto. Questi anticorpi sono identificati tradizionalmente dal crossmatch in citotossicita’



Figura 14 di 41.

Realizzare un trapianto in  presenza di tali anticorpi produce un trombosi di tutto il microcircolo che insorge poco dopo la riperfusione dell’organo.



Figura 15 di 41.

Cio’ e’ determinato dal legame degli anticorpi con l’endotelio del graft renale (che esprime antigeni HLA o di gruppo sanguigno) con conseguente attivazione massiva del complemento che causa cittolisi diretta delle cellule endoteliale ed una cateno di eventi in successione:richiamo di neutrofili, attivazione di piastrine, monociti, e cascata coagulativa.



Figura 16 di 41.

Questa diapositiva mostra le differenze fondamentali che vi sono tra i due tipi di anticorpi citotossici, causa di controindicazione al trapianto: quelli contro il gruppo sanguigno e quelli contro l’HLA



Figura 17 di 41.

La diffusione nel primo decennio del 200 della pratica del trapianto ABO-incompatibile è avvenuta grazie a tre eventi, il primo dei quali e’ la pubblicazione dei risultati di lungo termine della casistica giapponese, che avevano cominciato nell’89 quello che ad oggi e’ il più imponente programma di trapianto ABO-incompatibile. Una quota di trapianti viene persa subito, ma nel lungo termine i risultati erano identici.



Figura 18 di 41.

La strategia usata in giappone richiedeva il ricorso alla splenectomia, procedura a rischio di serie coplicanze chirurgiche e infettive: negli stessi anni neglu US dimostravano che risultati altrettanto eccellenti si potevano ottenere somministrando rituximab al posto della splenectomia.



Figura 19 di 41.

IL terzo evento è a pubblicazione dei risultati del protocollo di Stoccolma, che ha poi avuto un grosso seguito in Eutopa il quale, perferzionando vari aspetti, inclusa la tecnica aferetica per la rimozione degli anticorpi, per la prima volta ostrava che il trapianto ABO-incomatibile ha la stessa aspettativa di successo di un normale trapianto ABO-compatibile.



Figura 20 di 41.

Il razione su cui si fonda il trapianto ABO-incomapatibile e’ che bassi titoli di antciorpi contro il gruppo sanguigno non danneggiano il graft ma, piuttosto, inducono, nell’arco di due settimane, l’instaurarsi del fenomeno dell’accomodamento.



Figura 21 di 41.

L’accomodamento e’ la resistenza acquisita del graft al danno mediato da anticorpi.



Figura 22 di 41.

Questa diapositica spiega il motico per cui il trapianto ABO-incompatibile si può realizzare solo nel caso del trapianto da donatore vivente: solo quando si riesce a portare il titolo ad una soglia di sicurezza si può procedere al trapianto



Figura 23 di 41.

Questo diapositiva risassume il protocollo Svedese



Figura 24 di 41.

Le strategie terapeutiche sono pero’ diverse, e si possono raggruppore in quelle usate in Giappone, in USA e appiunto a Stoccolma.



Figura 25 di 41.

Qualunque sia la strategia il trapianto ABO-incompatibile è ormai una procedura consolidata.



Figura 26 di 41.

Il Trapianto HLA incompatibile ha storicamente seguito la falsa riga del trapianto ABO-incompatibile.



Figura 27 di 41.

Questa diapositiva riassume la strategia di trattamento per il trapianto HLA-incompatibile usata in US alla Johns Hopkins



Figura 28 di 41.

La sopravvivenza del paziente col trapianto HLA-incompatibile sembra migliora a quella del paziente che aspetta in lista un normale trapianto da cadavere.



Figura 29 di 41.

Ma, contrariamente, a quanto accade per il trapianto ABO-incompatibile, il graft renale HLA-incompatibile ha una sopravvivenza che a 2 anni e’ -30 percento inferiore rispetto ad un normale trapianto HLA-compatibile. Il trapianto HLA-incompatibile non può pertanto ancora considerarsi una procedura consolidata (al contrario di quanto accade per il trapianto HLA-incompatibile)



Figura 30 di 41.

L’optimum per superare il problema dell’incompatibilità donatore-ricevente è il trapianto in modalità incrociata (in italia spesso chiamato «cross-over»), la Kidney Paired Donation: due coppi incompatibili si scambiano i reni in maniera tale che ciascun ricevente riceva un trapianto normalmente compatibile



Figura 31 di 41.

I programmi di paired-donation sono in crescente diffusione nei paesi dove tali programmi sono legalmente consentiti. Vi sono al mondo due modelli di grande successo: quello olandese (mutuato in Italia) per cui la paired donation include due coppie (massimo tre) che scambiano i reni in contemporanea, e quella degli Stati Uniti che prevedono lo scambio di reni non in simultanea, col pregio di eseguire scambi di reni fra numerose coppie (ad es oltre 10)



Figura 32 di 41.

Qui sopra è riportato un esempio di «long chain» non simultanea. Tipicamente, la long chain può essere innescata da una «donazione altruistica». La long chain prevede temporanee sospensioni della catena di paired donation, per cui un donatore, il cui ricevente ha già ricevuto il rene, finisce per attendere dei mesi prima di essere chiamato a donare («bridge donor»). Il vantaggio di trapiantare molte coppie è pagato da un certo rischio (5%, non mostrato nella diapositiva) che si verifichi che il bridge donor cambi alla fine idea, rifiutandosi di donare



Figura 33 di 41.

In Italia quello della paired-donation è un programma nazionale



Figura 34 di 41.

Che si è gia’ realizzato nella pratica, prevalentemente nei Centri di Pisa, e di Siena.



Figura 35 di 41.

Il progetto del CNT è di estendere questo programma oltre i confini nazionali, a Francia e Spagna (South Transplant Alliance)



Figura 36 di 41.

Infine il trapianto da vivente è un contesto ideale per i protocolli di induzione della tolleranza immunitaria.



Figura 37 di 41.

Le strategie per l’induzione della tolleranza possono essere quelle rivolte ad indurre una tolleranza centrale oppure una tolleranza periferica.



Figura 38 di 41.

Il metodo per indurre una tolleranza centrale è fondato sull’indurre un chimerismo misto ematopoietico



Figura 39 di 41.

Non è una strategia nuova. Quello che è nuovo in letteratura è al possibilità di indurlo senza far correre eccessivi rischi al paziente



Figura 40 di 41.

Questa diapo mostra i risultati di un recente protocollo rivoluzinario del Chicago Memorial Hospital: il chimerismo è sostenuto nel tempo



Figura 41 di 41.

Questo diapositiva mostra i punti di forza di questo protocollo che rimane comunque un protocollo sperimentale.



Parole chiave: trapianto renale

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