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Parte 1: Corso FAD sull'ipertensione


Albuminuria: un Astro Nascente tra i Biomarcatori ed uno Strumento Promettente per lo Screening a Livello di Comunità.

release pubblicata il  23 settembre 2011 
da Massimo Cirillo

Figura 1 di 76.

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Buongiorno a tutti, chi vi parla è Massimo Cirillo. Da qualche mese ho lasciato la facoltà di medicina e chirurgia di Napoli e mi sono trasferito nella neonata facoltà di Salerno.

Il titolo di questa diapositiva, mette a fuoco l’argomento principale della mia relazione e cioè la possibilità di utilizzare la misura dell’albuminuria come screening nella comunità, cioè nella popolazione generale. A tal fine utilizzerò, per il 90% delle diapositive  dati provenienti dallo studio di Gubbio e per il restante 10%, dati a cui lo studio di Gubbio ha contribuito, e cioè dati del CKD Consortium ,una metanalisi internazionale i cui risultati iniziano ad apparire su importanti riviste internazionali. La relazione non riguarderà l’eventuale ruolo dell’albuminuria come fattore di rischio causale o semplicemente come marcatore di danno. Questo infatti  è un problema che, a mio giudizio può difficilmente essere risolto con i dati in nostro possesso, quindi lascio alla vostra alle vostra sensibilità e alle vostre conclusioni la risposta di questo quesito.



Figura 2 di 76.

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Questa immagine sottolinea il fatto che l’argomento della relazione è tutto sommato meno moderno di quanto si possa credere. La parte sinistra dell’immagine, che non rende molto dal punto di vista della qualità, evidenzia la prima segnalazione in letteratura scientifica nella quale è possibile reperire un rapporto tra albuminuria ed indici di salute. È un libro del 1892, quindi vecchio di oltre un secolo, pubblicato dalla WB Saunders, un editore ancora attivo, e che tutto sommato sottolinea che le nostre conoscenze attuali, quelle relative all’uso dell’albuminuria come importante marcatore di salute, erano già note 100 anni fa.

Nella parte destra dell’immagine è evidenziata la prima pubblicazione, diciamo, in “epoca moderna” e che ancora una volta viene dal “Framingham study”, una pubblicazione sull’American Journal del 1984 e nella quale si evidenziava come, a livello della popolazione, la proteinuria segnalata dall’esame urine tradizionale, si associava ad un rischio di mortalità maggiore nella popolazione, aumentata di circa 3 volte. Quindi vedete circa 100 anni tra la prima e la seconda segnalazione scientifica,ed entrambe sono a favore del fatto che è possibile utilizzare la quantità di proteine nelle urine per predire il rischio di morte di un individuo.



Figura 3 di 76.

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La terza immagine riassume i 6 articoli pubblicati negli ultimi 13 anni dallo studio di Gubbio, che rappresentano la base della relazione di oggi. Il primo fu pubblicato da “Arch Internal Medicine” nel 1998, a cui segue,   sempre sullo stesso giornale  un altro articolo nel 2008 (in basso a sinistra).  In questi 10 anni sono apparsi 3 articoli su Kidney International ( quelli elencati a destra) e uno su “Hypertension” . Tutti i dati di questi 6 articoli saranno utilizzati per la presentazione di oggi.

 

Bibliografia Studio Gubbio

Cirillo M - 1998 [1]     Cirilo M - 2000 [2]      Cirillo M - 2004 [3]

Cirillo M - 2006 [4]    Cirillo M - 2006 [5]     Cirillo M - 2008 [6]



Figura 4 di 76.

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La quarta immagine elenca, invece, i due articoli pubblicati dal CKD consortium, questa metanalisi internazionale sponsorizzata dalla” KDIGO”.

Il primo pubblicato l’anno scorso su “Lancet”, il secondo pubblicato quest’anno su” Kidney Internacional”. In questi articoli vengono descritti:  i rapporti tra albuminuria e mortalità nella popolazione generale nell’articolo sul Lancet; e i rapporti tra albuminuria ed end point renali nella popolazione generale su quello del  Kidney International.

 

Bibliografia:

CKD-PC    Lancet 2010 [7]    Gansewoort - 2001 [8]    



Figura 5 di 76.

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Lo studio di Gubbio è un tipico studio su popolazione, che è iniziato nel 1982 come “ fase di fattibilità” e dal 1983 come realizzazione vera e propria. Fino ad oggi ha coinvolta all’incirca 6500 persone, scelti tra i residenti del centro storico di Gubbio. Hanno partecipato allo studio popolazione di entrambi  i sessi e di tutte le fasce di età, in quanto erano invitati a partecipare tutti gli individui che avessero almeno 5 anni, fino ad un limite di 99 anni. Dal 1983 sono stati condotti 3 esami principali. Un primo esame fino all’89. Uno dall’ 89 al 92 ed un terzo nel 2004-2007. Sono state condotte anche una serie di attività ancillari, che non sono qui rappresentate.



Figura 6 di 76.

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Gubbio è una città collinare del centro Italia, e questa sua posizione centrale è importante, in quanto i dati presentati hanno probabilmente, in questo modo, la possibilità di essere rappresentativi della popolazione italiana.



Figura 7 di 76.

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A tale riguardo riassumiamo qui i dati di prevalenza di pazienti in dialisi della città di Gubbio, paragonati ai dati di prevalenza di dializzati in tutta Italia. Per prevalenza si intende il numero di persone che esprimono una patologia diviso il numero di persone potenzialmente a rischio della stessa. La prevalenza del trattamento dialitico in Italia nel 2001, secondo la SIN, è 845 persone ogni milione di residenti; con un intervallo di confidenza tra  837 e 852. La prevalenza nella Città di Gubbio è praticamente identica a quella registrata a livello Nazionale: 812 persone per milione, con intervallo di confidenza sovrapponibili al dato nazionale. I dati sono aggiustati per sesso ed età, quindi sostanzialmente avvalorano l’idea che le osservazioni raccolte ed analizzate nella città di Gubbio possano essere rappresentative della situazione generale italiana.



Figura 8 di 76.

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Questa slide descrive la distribuzione delle varie fasce di età tra uomini e donne che hanno partecipato allo studio di Gubbio. Le colonnine in blu fanno riferimento agli uomini e le rosse alle donne. La distribuzione delle fasce di età nella popolazione eugubbina è molto simile alla distribuzione attesa in un paese sviluppato del mondo occidentale. È cioè, una distribuzione nella quale, le fasce di età media ed avanzata, sono più abbondantemente rappresentate delle fasce giovanili. Per esempio nella fascia 45-54 ci sono circa 400 persone tra gli uomini e quasi 500 tra le donne; mentre se andiamo a vedere la fascia 5-12 anni vediamo una numerosità di circa 100 individui tra i due sessi. Questo andamento, cioè la relativa rarità di bambini e di individui con età giovanile è una caratteristica che accomuna la maggior parte delle popolazioni del mondo occidentale. Ulteriore segnalazione è rappresentata dal fatto che lo studio di Gubbio raccoglie dati di tutte le fasce di età ( bambini, adolescenti, adulti, anziani con età molto avanzata). Per esempio la fascia di età 75-84 anni è molto ben rappresentata, con oltre 100 individui tra i due sessi; ed anche discretamente rappresentata, soprattutto nelle donne, la fascia di età 85-99.



Figura 9 di 76.

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I dati presentati oggi, saranno sostanzialmente riferiti ad individui di mezza età, cioè le due decadi 45-54 anni e 55-64. Questa scelta è dovuta al fatto che la misura dell’escrezione urinaria di albumina è stata effettuata esclusivamente in queste due fasce di età, e quindi sostanzialmente a 1660 persone. La limitazione della misurazione a queste due fasce di età è stata dettata da fattori di ordine economico, in quanto all’epoca non si avevano risorse per misurazioni che analizzassero tutta la popolazione. La scelta di limitare le misurazioni a questi individui era dovuta alla considerazione che in queste fasce di età la prevenzione  cardiovascolare e in genere la prevenzione che riguarda la medicina interna, è più importante che in altre. E’ la fascia, infatti,  che di lì a poco ( 5-15 anni)  si attende generi un certo numero di eventi morbosi significativi su cui  poter fare analisi di tipo statistico.



Figura 10 di 76.

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In questa  decima immagine è riassunto brevemente il protocollo utilizzato per il secondo esame dello studio di Gubbio per i soggetti che avevano 45-64 anni. Il protocollo prevedeva inizialmente una raccolta temporizzata delle urine della notte, quella che gli americani definiscono “overnight”. In pratica una raccolta limitata, non alle 24 ore, ma all’incirca alle 8 ore notturne che iniziano dopo il pasto serale. Su queste urine veniva misurata la concentrazione di albumina con metodo immunoturbidimetrico e la creatinina con il tradizionale metodo colorimetrico.

Al mattino, in condizioni di digiuno da almeno 8 ore, veniva effettuato un prelievo di sangue venoso, utilizzato per la misurazione delle concentrazioni plasmatiche di glucosio, colesterolo e creatinina. Al paziente venivano poi consegnati dei questionari sulle pregresse malattie cardiovascolari ( questionario di Ross: standardizzato e universalmente accettato per valutare la frequenza di malattie cardiache) e renali. Veniva, poi effettuati : un elettrocardiogramma standard con 12 derivazioni, il quale non veniva refertato da un cardiologo, ma da una procedura computerizzata con codice Minnesota; delle domande relative alla terapia in corso, sia di tipo dietetico, che farmacologico;diverse rilevazioni della pressione arteriosa, con sfigmomanometro a colonna di mercurio effettuate da certificato medico professionale abilitato a tale scopo; e anche misure antropometriche, come peso, altezza, psicometria, ed altre standard.

Da quel momento in poi iniziava il periodo di follow-up, cioè il registro nel tempo degli eventi morbosi successivi, definendo come tale, un ricovero per qualsiasi causa oppure un decesso.

Questi eventi venivano classificati secondo la classificazione internazionale delle malattie, cioè quella dell’OMS.

I dati così raccolti rispondevano a due scopi: le misurazioni della creatininemia ed i questionari delle patologie renali, erano utilizzate per stabilire la prevalenza delle malattie renali già al momento del primo esame ( lo steso dicasi per le malattie cardiovascolari);  gli eventi morbosi registrati nel follow-up, indicato all’ultima riga di questo evento, per valutare l’incidenza di nuove malattie per anno in ogni singolo paziente.



Figura 11 di 76.

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Il primo set di dati prende in esame quelli correlati all’albuminuria, ed in particolare all’elevazione di questo valore nella popolazione.



Figura 12 di 76.

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Utilizzando le soglie, tuttora accettate, per determinare la definizione di albuminuria elevata o normale era possibile verificare che, nell’ambito di un campione di popolazione generale, circa il 95% degli individui ha un’escrezione di albumina nelle urine considerata normale, inferiore a 20microgrammi/minuto, soglia utilizzata per rilevazioni brevi, come l’overnight (corrispondente 30 mg nelle 24 ore). Il 5% ha invece, un valore al di sopra di questa soglia, e questi pazienti possono essere divisi in 2 diverse fasce: in arancione, il 4,5% aveva una lieve elevazione dell’albumina urinaria ( la cosiddetta microalbuminuria, compresa tra 20 e 200 microgrammi/minuto) e lo 0,5% aveva una più severa elevazione dell’albuminuria ( macroalbuminuria, con escrezione che supera i 200 microgrammi/minuto, corrispondente ai 300 mg/24h).

In breve: il 95% della popolazione ha albuminuria nella norma; il 5% ha valori elevati, e di questi solo 1 su 10 ha macroalbuminuria ( meno dell’1% degli individui).

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 13 di 76.

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L’immagine riassume le differenze di frequenza  nell’elevazione di albuminuria tra uomini e donne. Come al solito, secondo lo schema che si ripresenterà nel corso della presentazione, i dati degli uomini sono presentati in blu, quelli delle donne in rosso. Sia per la micro, che per la macroalbuminuria, il disordine è molto più frequente negli uomini rispetto alle donne.  E’ un dato in accordo con molti altri studi, e che evidenzia il fatto che gli uomini non siano favoriti in ambito di problematiche renali.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 14 di 76.

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Qui vengono mostrati i rapporti tra pressione arteriosa e valori elevati di albuminuria. Sull’asse delle ascisse ci sono 6 range diversi di pressione arteriosa, secondo le indicazioni dell’OMS. Quindi da sinistra abbiamo: valori ottimali, normali, border-line o normale-alta, e poi i 3 range tipici dell’ipertensione arteriosa. Per ciascun di questi strati il cerchietto in nero rappresenta il numero di individui con albuminuria elevata. La figura mostra in maniera abbastanza evidente come , a partire da valori pressori ai limiti alti della norma      (dal border line, cioè pressioni sistoliche 130-139 mmHg o una diastolica 85-89mmHg), si assiste ad un progressivo e continuo aumento della percentuale di individui con elevazione dell’albuminuria, tale che soggetti con ipertensione di stadio 3 presentano una incidenza superiore al 15% di elevazione del valore di albuminuria. La curva sembra invece piatta per valori pressori ottimali-normali, il che tende a suggerire che tutte le variazioni di pressione al di sotto di 130 mmHg sistolica e 85 mmHg diastolica non si associno a variazioni significative dei valori di escrezione di albumina urinaria.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 15 di 76.

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In una delle immagini precedenti ci si era soffermati sul fatto che la frequenza di elevazione di albumina urinaria è una caratteristica molto più comune negli uomini. Questa immagine analizza i rapporti tra elevazione della pressione arteriosa ed escrezione di albumina urinaria nei due sessi. Si vede che i dati, separatamente analizzati tra uomini e donne , danno conclusioni identiche a quelle precedentemente analizzate, e cioè che:  per aumento della pressione arteriosa, aumenta l’escrezione urinaria di albumina. Questa variazione avviene, però, a due livelli diversi nei due sessi: negli uomini la curva è molto più alta che nelle donne, e questo è un buon esempio dell’interazione che tra  vari fattori  ci può essere nel determinare il grado di elevazione dell’albuminuria. I tutti e due i sessi c’è una relazione tra pressione arteriosa e albuminuria, ma ad esempio, donne con ipertensione di grado 3 presentano elevazione dell’albuminuria solo nel 12% circa dei casi. Negli uomini questa elevazione è quasi del doppio dei casi ( circa il 25%). Quindi si può vedere come il sesso maschile contribuisca insieme alla pressione ad essere un determinante fondamentale della frequenza di elevazione dell’albuminuria.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 16 di 76.

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Questa immagine risponde ad un altro tipo di domanda, e cioè: se si è d’accordo sull’idea che l’aumento della pressione arteriosa è un determinante della escrezione urinaria di albumina, è ragionevole chiedersi  se tale affermazione è vera sia per la diastolica, che per la sistolica. Oggi non c’è più tanta discussione sull’argomento, ma all’epoca della presentazione di questi dati, nel 2000, le opinioni non erano così concordi.  Appena qualche anno prima, l’insegnamento di tipo tradizionale, sosteneva che solo l’aumento della pressione diastolica fosse determinante significativo del danno renale. In questa immagine l’analisi si sofferma solo su persone che non assumono farmaci antipertensivi, nell’ambito della popolazione generale. Questi pazienti che non assumono farmaci vengono divisi in 3 gruppi: il primo a sinistra, indicato dalla colonnina bianca, è rappresentato da pazienti non ipertesi ( sistolica minore di 140 mmHg e diastolica minore di 90 mmHg) , la colonnina centrale si riferisce a persone con ipertensione diastolica ( diastolica maggiore di 90mmHg); il terzo gruppo si riferisce a pazienti con ipertensione sistolica isolata ( sistolica maggiore di 140mmHg). Gli ipertesi, sia che siano solo diastolici, che solo sistolici, presentano nello stesso modo elevazione dell’ escrezione di albumina urinaria. Questo a sostegno dell’idea che, qualunque sia l’elevazione della pressione arteriosa, questa si associa ad una elevazione dell’escrezione di albumina urinaria.

 

Bibliografia: Cirilo M - 2000 [2]



Figura 17 di 76.

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L’immagine 17 verte sullo stesso punto presentato in precedenza, e di nuovo l’analisi è condotta separatamente nei due sessi, per sottolineare il fatto che i risultati sono concordanti tra uomini e donne, ma si svolgono su livelli diversi.  Qui viene presentata la relazione che appare essere continua e lineare tra pressione di pulsazione ed escrezione urinaria di albumina. La pressione di pulsazione è indicata sull’asse delle ascisse, ed è calcolata come la differenza tra pressione sistolica e diastolica. Sull’asse delle ordinate c’è l’escrezione urinaria media e ciascun punto rappresenta un quintile della popolazione, cioè il valore medio osservato nel 20% degli uomini che avevano una pressione di pulsazione ai valori bassi, ai valori intermedi e poi più alti. Vedete che al contrario di quanto ritenuto per il passato, anche il solo aumento della pressione sistolica, quindi della pressione di pulsazione, si associa ad un significativo aumento dell’albuminuria, sia negli uomini, che nelle donne.

 

Bibliografia: Cirilo M - 2000 [2]



Figura 18 di 76.

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Qui si descrivono i rapporti tra trattamento dell’ipertensione arteriosa ed albuminuria. Va sottolineato che, i dati raccolti su popolazione, sono difficili da utilizzare come evidenze a favore del trattamento farmacologico, perché nell’ambito della popolazione generale, quando si selezionano le persone che prendono farmaci per una qualche malattia, in genere si selezionano gli individui più severamente ammalati, e quindi le evidenze relative agli effetti del trattamento spesso sono di tipo confondente quando raccolte nell’ambito di una popolazione. Qui viene riassunto un risultato abbastanza semplice, che supporta l’idea che il trattamento efficace dell’ipertensione arteriosa, sia anche efficace nel controllo dei valori di albumina urinaria. L’analisi si basa esclusivamente su persone che riferivano di prendere regolarmente farmaci antipertensivi e li divide in due gruppi: gli ipertesi, che in corso di trattamento farmacologico regolare avevano un’ipertensione non regolata, cioè superiore a 140/80 mmHg ( colonnina in grigio scuro); ipertesi che in seguito a terapia avevano un’ipertensione controllata ( colonnina a destra più chiara). La percentuale di individui che avevano una concentrazione di albumina urinaria elevata , era più del doppio nei pazienti che non avevano un’ipertensione controllata , rispetto a quelli che avevano un buon controllo pressorio. Questo indipendentemente dal tipo di farmaco, che all’epoca, negli anni ’90, erano un po’ diversi da quelli di oggi. Quindi un buon controllo della pressione arteriosa influisce su un buon controllo dell’escrezione urinaria di albumina.

 

Bibliografia: Cirilo M - 2000 [2]



Figura 19 di 76.

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L’immagine introduce altri “giocatori sul campo” e cioè abbiamo finora analizzato il fatto che la concentrazione urinaria di albumina è diversa tra uomini e donne; che nei due sessi dipende molto dai valori di pressione arteriosa, sia diastolica, che sistolica; che dipende molto anche dal trattamento antipertensivo. Tutti i dati, però, disponibili in letteratura ed anche nello studio di Gubbio indicano concordemente che la pressione arteriosa non è l’unico determinante dei valori di albuminuria, e qui vengono analizzati tre fattori di rischio cardiovascolare classico: l’ipercolesterolemia, il fumo di sigaretta e il diabete.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 20 di 76.

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Le prime due colonnine a sinistra indicano la differenza di frequenza di albuminuria elevata nei pazienti senza ipercolesterolemia, nei confronti dei pazienti con ipercolesterolemia ( valori maggiori di 240 mg/dl) e vedete che dividendo la popolazione solamente in base ai valori di colesterolo, si divide anche un sottogruppo che ha una frequenza elevata di albuminuria. Il dato è praticamente identico quando viene analizzato con statistiche multivariate , controllando fra l’altro i fattori di rischio.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 21 di 76.

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La stessa affermazione è valida paragonando i dati dei non fumatori (colonnina grigia chiara centrale), rispetto ai fumatori (colonnina grigia scura centrale). Si vede che nei fumatori la frequenza di albuminuria elevata è di circa il 5%, nei non fumatori, di circa il 4%. La differenza data la numerosità della casistica è significativa.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 22 di 76.

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Infine, l’ultimo paragone, a destra, riporta i dati ovvi ed attesi della frequenza  dell’elevazione dell’albumina urinaria nei diabetici paragonati ai non diabetici. Lo studio di Gubbio rileva una maggiore frequenza nei diabetici, e si accoda alle evidenze rilevate già in altri studi.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 23 di 76.

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L’immagine 23 riassume i rapporti tra il sovrappeso e l’escrezione urinaria di albumina. Di fatto aggiunge un ulteriore fattore tra quelli che possono determinare l’elevazione dell’albuminuria. La popolazione di Gubbio è stata divisa in 6 fasce, posizionate sulle ascissa, sulla base dei valori di BMI, che se inferiori a 18,5 indicano un peso troppo basso, e poi via via un peso normale, fino all’obesità ( BMI superiore a 30), diviso secondo la pratica clinica in tre gradi. L’asse delle ordinate riporta il valore medio di albumina urinaria. La media dell’escrezione di albumina cresce linearmente con l’aumentare del BMI, e tale crescita si impenna per obesità di grado 3, cioè severa. Questa relazione ha importanza sia dal punto di vista patogenetico,che clinico, e che sottolinea uno dei determinanti maggiori dell’escrezione urinaria di albumina, perché, mentre per i determinanti presi fin qui in considerazione ( ipertensione, ipercolesterolemia, diabete)  era da chiedersi cosa avesse generato queste condizioni, in questo caso  i dati esprimono un possibile determinante primario dei valori di albuminuria. Stili di vita dietetici o legati all’attività fisica, che determinano un aumento del peso corporeo , fatalmente determinano un aumento dell’escrezione urinaria di albumina.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 24 di 76.

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L’immagine riassume le evidenze fin qui rappresentate. Una serie di dati hanno dimostrato in maniera chiara che il genere maschile si associa ad un valore di albumina urinario più elevato. Questa valutazione è dal punto di vista medico di limitata importanza perché il sesso maschile non è un fattore di rischio correggibile.  Esistono un’altra serie di fattori di rischio correggibili che possono contribuire all’elevazione dell’albumina urinaria, ed i dati finora presentati indicano che il sovrappeso, l’ipertensione, il fumo di sigaretta , l’ipercolesterolemia e il diabete sono fattori sui quali è verosimilmente possibile agire per modificare i valori di escrezione urinaria di albumina.



Figura 25 di 76.

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L’immagine riassume i dati fin qui rappresentati e mostra come l’albumina urinaria per certi versi possa essere utilizzata come una sorta di metro, che ci dice qual è l’esposizione dell’individuo ai fattori di rischi cardiovascolari. Nell’immagine si vede che la popolazione è stata divisa in 4 gruppi: individui che non presentavano nessun fattore di rischio cardiovascolare (quelli con lo zero a sinistra); individui che avevano un solo fattore di rischio cardiovascolare; individui che ne avevano 2 ed individui che ne avevano 3 o 4. Al crescere dei fattori di rischio cardiovascolare presenti in un individuo, aumenta la frequenza dei pazienti che hanno una elevazione dell’escrezione urinaria di albumina, e questo avvalora l’idea che questo valore sia una sorta di marcatore cumulativo del rischio cardiovascolare del soggetto, in funzione del numero e della severità dei fattori di rischio cardiovascolare presente in quel dato soggetto.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2005 [9]



Figura 26 di 76.

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Veniamo al secondo gruppo di dati, quelli che descrivono i rapporti tra albuminuria e malattie cardiovascolari,  nel campione di popolazione generale utilizzato nello studio di Gubbio.



Figura 27 di 76.

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Questi dati hanno circa 7 anni, pubblicati su Kidney International nel 2004, nei quali la popolazione dello studio di Gubbio viene divisa in 3 gruppi: quelli con escrezione di albumina urinaria normale ( inferiore a 20 microgrammi/minuto), la prima colonnina da sinistra in bianco; individui che hanno una moderata elevazione dell’albuminuria ( microalbuminuria: 20-199 microgrammi/minuto); e a destra, la colonna in grigio scuro, gli individui con elevazione severa dell’albuminuria (macroalbuminuria: maggiore di 200 microgrammi/minuto, uguali a 300mg/24h).

Sull’asse delle ordinate viene, invece, rappresentata la frequenza degli individui per ciascun gruppo con alterazioni elettrocardiografiche significative di malattia coronarica, sulla base dell’ECG analizzato con il codice Minnesota. La frequenza di malattia coronarica è progressivamente crescente nei tre gruppi. E’ relativamente rara (circa il 7%) nelle persone di mezza età e che non hanno elevazione dell’albuminuria; sale oltre il 20% nelle persone con microalbuminuria e raggiunge oltre il 33% nelle persone con macroalbuminuria. Quindi è una relazione continua e progressiva. Più è elevata l’escrezione urinaria di albumina, maggiore è la frequenza di individui con danno vascolare a livello delle coronarie. E’ da sottolineare il 33% delle persone  con malattia coronarica nel terzo gruppo. Per certi versi, almeno dal punto di vista economico, sarebbe forse più conveniente cercare la malattia coronarica facendo esame delle urine a tappeto nella popolazione, dal momento che la macroalbuminuria è un’anomalia di regola evidenziabile anche solo l’esame urine standard. Al di là di queste considerazioni, il fatto incontestabile è che all’interno della popolazione generale esiste una correlazione continua tra il livello di albumina presente nelle urine e la frequenza di danno vascolare importante a livello delle coronarie.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2004 [3]



Figura 28 di 76.

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L’immagine 28 approfondisce l’analisi dei rapporti tra albumina urinaria e malattia vascolare a livello coronarico e divide ulteriormente il sottogruppo definito con albuminuria normale , in quattro quartili di albumina urinaria, che hanno tutti albumina urinaria inferiore al range di 20 microgrammi/minuto (30mg//24h), ma nell’ambito di questo range normale, possiamo distinguere individui agli estremi bassi della norma, così come agli estremi alti. Vengono paragonati  nelle due colonnine grigio scuro e grigio molto più scuro sulla destra (macroalbuminuria), per vedere se la correlazione tra albumina urinaria e malattia coronarica è limitata alle fasce di micro e macroalbuminuria e se è presente nell’ albumina urinaria cosiddetta normale. Si vede che i dati, ancora una volta sottolineano la continuità della relazione, presente su tutto l’ambito dell’albumina urinaria, anche nel range che nella pratica clinica viene considerato generalmente normale, perché in quel range le persone che hanno albuminuria particolarmente bassa, hanno anche una frequenza particolarmente bassa di malattie coronariche, mentre pazienti con valori ai limiti alti della norma hanno una frequenza di malattia coronarica che raggiunge anche il 10%. Il dato ancora una volta era anche statisticamente significativo.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2004 [3]



Figura 29 di 76.

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L’immagine 29 non deriva dallo studio di Gubbio, è un classico studio clinico pubblicato da un gruppo italiano su Circulation nel 1996. La misura riassume quali sono i valori di albumina urinaria in una persona colpita da infarto del miocardio nel momento del ricovero e dei giorni successivi. In coincidenza di un infarto acuto si osservano valori di albumina urinaria, che sono tendenzialmente più alti di quelli normalmente osservati e che nel corso dei giorni successivi all’infarto, questi valori progressivamente decrescono (linea in rosso rappresentata nel grafico). Invece in basso c’è una linea nera di un paziente ricoverato nello stesso ospedale per un altro motivo , nel quale l’escrezione di albumina urinaria resta sostanzialmente costante nel corso della degenza. In breve, la figura sostanzialmente sottolinea la possibilità che un aumento dell’escrezione urinaria di albumina sia un fatto successivo alla comparsa di malattia cardiovascolare e non un fatto precedente.  Osservazioni di questo tipo sono stati prodotti in altri tipi di malattie, anche in malattie cerebrali, e vengono  interpretate generalmente come una dimostrazione del fatto che processi infiammatori di entità significativa, anche se avvengono in organi distanti dal rene, siano in grado di aumentare l’escrezione urinaria di albumina, apparentemente per il rilascio a partire dal focolaio di infiammazione o necrosi che sia, di fattori vasoattivi che raggiungono il rene ed aumentano l’escrezione urinaria di albumina. A prescindere dall’eventuale importanza di questi fattori  e di questi fenomeni nella regolazione dei valori di albumina urinaria, è da chiedersi se i dati in precedenza mostrati, di una relazione tra albumina urinaria e frequenza di malattie coronariche, rappresentino  una relazione la quale rileva che: le persone che hanno avuto malattie coronariche, in seguito a queste, sviluppino un aumento dell’escrezione renale di albumina, o piuttosto, viceversa, le persone che in precedenza avevano escrezione urinaria di albumina elevata, sono quelle che poi successivamente sviluppano anche malattia coronarica.

 

Bibliografia: Berton - 2005 [10]



Figura 30 di 76.

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Questa immagine numero 30 riguarda il problema sollevato nell’immagine precedente , che non può essere risolto se non da classici studi di tipo longitudinale, nei quali cioè i rapporti tra escrezione urinaria di albumina e malattia cardiovascolare vengono studiati nel corso degli anni e avendo avuto cura di misurare l’escrezione urinaria di albumina all’inizio dello studio in persone apparentemente prive di malattie cardiovascolare clinicamente evidenti.  Questo è stato fatto nel corso dello studio di Gubbio , ed è oggetto di una delle recenti pubblicazioni dello studio pubblicato su Arch Internal Medicine del 2008. Il grafico di sinistra mostra sostanzialmente che la frequenza di eventi cardiovascolari incidenti, cioè di malattie cardiovascolari registrate successivamente all’esame iniziale, è doppia nelle persone che all’inizio dello studio avevano un’escrezione urinaria di albumina elevata, rispetto a quelle  che non l’avevano elevata. Quindi il grafico di sinistra, con le due colonnine grigio chiaro e grigio scuro, mostra indiscutibilmente che l’elevazione dell’albumina urinaria nella popolazione generale preesiste nei soggetti che di lì a qualche anno avranno una malattia cardiovascolare. Il grafico di destra presenta in maniera diversa gli stessi dati. Fa vedere che questa maggiore frequenza di malattia cardiovascolare nelle persone che hanno albuminuria elevata, è abbastanza costante nel corso di un lungo periodo di osservazione. Sono 12 anni di osservazione, indicati nell’asse delle ascisse , e vedete che le due curve, quella delle persone con albuminuria elevata e quella delle persone con albuminuria non elevata , si separano all’inizio e restano separate, indicando una frequenza di eventi incidenti  sostanzialmente diversa. Quindi, questo tipo di osservazione non è originale ed esclusiva dello studio di Gubbio, ma è stata ripetutamente confermata da vari studi su popolazione.

 

Bibliografia:  Cirillo M - 2008 [6]



Figura 31 di 76.

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Restando nell’ambito dei rapporti tra albuminuria e malattia cardiovascolare e analizziamo quest’analisi utilizzando la gran messe di dati raccolta dal CKD Consortium . Questo Consortium è una metanalisi sponsorizzata dalla KDIGO , organizzazione impegnata nel campo delle malattie renali, nota alla maggior parte dei nefrologi , che ha come scopo una migliore definizione della malattia renale cronica. In pratica il Consortium ha  messo insieme i dati di molti studi diversi: studi su campioni di popolazione generale, studi clinici su pazienti a rischio di malattia renale, studi clinici su pazienti con malattia renale, che avessero misure longitudinali, cioè ripetuti nel tempo, e che includessero i due principali valori di funzionalità renale, cioè filtrato stimato e valore di albumina urinaria misurata come rapporto albumina/creatinina. Le analisi statistiche del consorzio sono iniziate nel 2009. Nel 2010 è stato pubblicato il primo articolo sul Lancet e nel 2011 ci sono stati altri 4 manoscritti su Kidney International: 2 riguardanti campioni di popolazione generale, e altri 2 che riguardavano popolazioni di pazienti. Il senso fondamentale di questa metanalisi è tentare di dare risposte credibili, affidabili, numericamente sostanziose, a quesiti che i singoli studi non potevano risolvere per limiti di numerosità.

 

CKD-PC



Figura 32 di 76.

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L’immagine elenca tutti gli studi su popolazione generale  che hanno contribuito alla metanalisi del CKD Consortium . Ci sono studi di varie parti del mondo e lo studio di Gubbio, per fortunata coincidenza, capita in questo elenco alfabetico degli studi partecipanti, proprio al di sotto dello studio di Framingham, che è uno degli studi che hanno fatto la storia almeno delle malattie cardiovascolari.



Figura 33 di 76.

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L’immagine 33 elenca alcune delle caratteristiche degli studi che hanno contribuito alla realizzazione del Consortium, e vedete che da sinistra verso destra è indicato innanzitutto il tipo di analisi urinaria a disposizione, e quindi gli studi vengo divisi in due grandi gruppi: quelli che avevano a disposizione un valore di albumina urinaria espresso come rapporto albumina/creatinina e quelli che avevano a disposizione solo un esame delle urine standard ottenuto con striscia. Gli studi che avevano a disposizione i dati del semplice esame urine con striscio hanno una numerosità di partecipanti sostanzialmente maggiore, perché i costi di questi studi sono minori paragonata ad quelli con misurazione dell’albuminuria con tecnica immunoturbidimetrica oppure radioimmunologica. Dal punto di vista della distribuzione geografica abbiamo studi condotti in Asia, Oceania, America, sostanzialmente del Nord ed in Europa. Nell’ambito di questi studi che hanno raccolto dati sull’albumina urinaria, questi erano numerosi negli Stati uniti; c’erano un paio di studi in Asia, uno in Cina, uno in Pakistan; e 4 studi europei: uno Gubbio, il famoso Prevend svolto in Olanda, uno in Norvegia e l’altro in Svezia.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 34 di 76.

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L’immagine 34 riassume alcuni dati relativi alla metanalisi svolta dal Consortium. Per quello che riguarda studi su popolazione generale con dati disponibili di albumina urinaria, si sono raccolti un numero totale di dati pari a oltre 100.000 persone, il follow-up medio successivo a questa  raccolta dati era di circa 7 anni; e il prodotto delle persone/anno per gli studi in questione era di oltre 730.000. Si sono registrate circa 10.000 morti  in questo gruppo di campioni di popolazione e di queste morti circa 3800 erano per causa cardiovascolare. Il campione relativo agli individui con dati di esami urine con dipstick è molto più numeroso, ma rappresenta un elemento di secondaria importanza nella relazione di oggi. Le variabili incluse nell’analisi erano quelle relative al rene ( il filtrato urinario e l’albumina come rapporto con la creatinina), il sesso, l’età, il gruppo etnico, il fumo di sigarette, l’ipercolesterolemia, la pressione, il diabete, le malattie cardiovascolari precedenti, la durata del follow-up, l’eventuale decesso e la causa. Quindi si analizzano esclusivamente malattie cardiovascolari di tipo letale.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 35 di 76.

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L’immagine 35 comincia con il risultato finale della metanalisi, e cioè, della relazione che esiste tra albuminuria e mortalità per qualsiasi tipo di malattia (grafico a sinistra) e albuminuria e morte cardiovascolare  (grafico a destra). L’albumina urinaria, in entrambi i grafici, è espressa come rapporto albumina/creatinina con i valori presentati come mg/g . Nel grafico, il diamante, che corrisponde al valore di albumina/creatinina di 5 mg/g, è il valore che si è scelto come riferimento. I cerchietti rappresentano i valori analizzati ad ogni singolo livello di albumina urinaria e l’ombra in viola più chiaro rappresenta gli intervalli di confidenza della linea tratteggiata in viola più scuro. Si evince che, sia per la mortalità per qualsiasi causa, sia per la mortalità cardiovascolare, esiste una relazione di tipo continuo e progressivo tra il livello di albumina nelle urine e la frequenza di morte nel follow-up di 7-8 anni  successivi. Il grafico mostra in maniera evidente che non esiste nessun effetto soglia, cioè non siamo di fronte ad una relazione che diventa statisticamente al di sopra di un certo valore di albumina urinaria, ma la relazione è presente su tutto il range dell’albumina urinaria e può essere ben riassunta dalla espressione semplice, ma efficace, che sottolinea che : più bassa è l’albumina urinaria meglio è.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 36 di 76.

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L’immagine 36 comincia a descrivere in maggior dettaglio il rapporto tra albuminuria e morte nell’ambito dei  campioni di popolazione studiati dal Consortium. Stavolta l’analisi non è quella semplice presentata in precedenza, che concentra l’analisi solo sul rapporto tra albumina urinaria e decessi, ma cerca di analizzare i rapporti tra albumina urinaria e decessi per ogni dato livello di filtrato glomerulare stimato, tentando di separare la possibile influenza dell’albumina urinaria, dalla possibile influenza delle variazioni del filtrato glomerulare. Il gruppo di riferimento elencato in questo grafico, con la colonnina blu, è costituito dalle persone che avevano un filtrato glomerulare stimato tra 90 e 104 ml/min ed un’albumina urinaria espressa come rapporto albumina/creatinina inferiore a 10 mg/g. Questo è il gruppo di riferimento, e si è arbitrariamente deciso identificare con “1”  la frequenza di decessi delle persone che avevano queste caratteristiche di filtrato e di albuminuria. Tutte le colonne che verranno via via mostrate nei grafici successivi rappresentano valori relativi di incidenza di decesso nei gruppi selezionati per filtrato glomerulare e albuminuria.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 37 di 76.

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Dividendo l’intero campione arruolato nel Consortium nei valori di filtrato glomerulare e albumina urinaria, si ottiene una distribuzione della frequenza di decessi di questo tipo, non molto chiara da vedere graficamente, ma che può essere meglio spiegata se analizziamo i rapporti tra albumina urinaria e rischio di morte nelle varie categorie di filtrato.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 38 di 76.

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L’immagine 38 comincia ad analizzare i rapporti tra albumina urinaria e mortalità per qualsiasi causa nel gruppo che aveva un filtrato glomerulare stimato superiore a 105 ml/min. E’ evidente che nell’ambito di questo gruppo esiste una correlazione continua e progressiva tra albuminuria e mortalità. Più alta è l’albuminuria , espressa come il rapporto albumina/creatinina, più alto è il rischio di morte, quale che fosse il filtrato.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 39 di 76.

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L’immagine 39 conferma che un andamento sostanzialmente identico è presente nel gruppo di persone che avevano un filtrato glomerulare stimato compreso tra 90-104 ml/min.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 40 di 76.

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L’immagine 40 chiarisce che questo tipo di relazione continua ad essere presente in tutti gli strati di filtrato glomerulare, con l’unica eccezione del piccolo gruppo di persone con filtrato glomerulare inferiore a 30 ml/min. Per tutti gli strati, comunque, di filtrato glomerulare separatamente analizzato, è evidente che, più alta è l’escrezione urinaria di albumina, più alto è il rischio di avere un decesso nei  7 anni successivi al periodo di follow-up. Nel piccolo sottogruppo di persone che hanno meno di 30 ml/min di filtrato glomerulare, che nella popolazione generale sono un numero veramente ridotto, vedete che la relazione c’è, ma non è perfettamente lineare. Diventa lineare solo per i valori di albumina urinaria superiore a 30 mg/g . La parziale assenza di un dato significativo in questo sottogruppo di persone, fondamentalmente indica che come determinante di causa di decesso, la severa riduzione di filtrato glomerulare diventa così importante a questi valori, da confondere e diluire l’effetto dell’elevazione dell’albumina urinaria.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 41 di 76.

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L’immagine 41 ripete la stessa identica analisi, stavolta non per la mortalità da qualsiasi tipo di malattia, ma esclusivamente per mortalità di tipo cardiovascolare. Si vede che i risultati sono sostanzialmente gli stessi . Esiste una relazione continua tra albumina urinaria ( espressa come rapporto creatinina/albumina) e rischio di morte, che è presente in tutti gli strati di filtrato glomerulare stimato. Il risultato è sempre coerente in tutti gli strati di filtrato, con l’unica eccezione del piccolo gruppo di persone che hanno un filtrato glomerulare severamente ridotto. Se notate i numeri del rischio per morte cardiovascolare, dovreste notare che il numero di questo rischio è molto più alto di quello osservato nelle diapositive precedenti, perché la relazione tra albuminuria e morte per malattie cardiovascolari è più forte di quella osservata tra albuminuria e qualsiasi tipo di malattia.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 42 di 76.

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Lasciamo per un attimo l’analisi dei dati limitata al rapporto tra albuminuria e morte cardiovascolare, e vediamo se una relazione di questo tipo è presente anche per la semplice proteinuria all’esame urine standard fatto con strisce. Questo quesito, benché apparentemente lontano dal tema centrale della relazione, che è relativa al ruolo dell’albuminuria, è però importante nella medicina pratica, perché nella pratica comune, spesso il paziente non ha una rilevazione dell’albumina urinaria comunemente effettuata con metodo” RIA” o turbidimetrico, ma semplicemente un esame urine standard. Il nefrologo deve essere informato, però, dell’eventuale importanza della misura della semplice albuminuria ottenuta con l’esame urine standard.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 43 di 76.

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Qui si ripete l’analisi presentata in precedenza per il rapporto albumina/creatinina , sostituendo a questo rapporto la presenza più o meno abbondante di proteine all’esame urine standard. Analizza, quindi il rapporto tra il risultato dell’esame urine  standard e la frequenza di mortalità cardiovascolare nei vari strati di filtrato glomerulare. Il risultato è sostanzialmente lo stesso. In pratica, le informazioni derivanti dal semplice dipstick sono comunque di grande significato clinico , perché, per ogni dato livello di filtrato glomerulare , le persone che hanno proteinuria più elevata, hanno un maggiore tasso di mortalità per malattie cardiovascolari.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 44 di 76.

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Torniamo all’immagine già vista in precedenza, che riassume i rapporti lineari e continui che esistono tra quantità delle urine espressa come rapporto albumina/creatinina e rischio di morte per qualsiasi malattia ( grafico sinistro) o per le sole malattie cardiovascolari ( grafico destra) e soffermiamoci su un altro aspetto suggerito da questi dati.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 45 di 76.

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L’immagine 45 si sofferma su un problema , che è sottovalutato da parte dei nefrologi nella loro pratica routinaria. Qui i dati complessivi delle popolazioni arruolate nella metanalisi del Consortium sono divisi in tre semplici fasce: le persone che hanno rapporto albumina/creatinina nella norma, cioè inferiore a 30 mg/g; le persone con una moderata elevazione del rapporto, cioè tra 30 e 299 mg/g (microalbuminuria) ; ed infine le persone con una elevazione severa, cioè con un rapporto superiore a 300 mg/g (macroalbuminuria). Un dato fondamentale da sottolineare nella casistica messa insieme dal Consortium è la percentuale di persone decedute dopo 10 anni di follow-up in questi 3 gruppi di persone. Date 100 persone con albuminuria nella norma, la percentuale di morti cardiovascolari è circa l’8%; date 100 persone con microalbuminuria la percentuale è del 23%; date 100 persone con macroalbuminuria la percentuale è di circa il 34%. Questi dati dovrebbero spingere i nefrologi a riconsiderare un po’ la loro pratica clinica e fondamentalmente sottolineano l’importanza di tenere presente che la principale complicazione delle persone che hanno albuminuria, non è forse l’evoluzione verso la dialisi, ma una morte prematura. Questa semplice considerazione, probabilmente deve essere aggiunta al disegno degli studi clinici prossimi venturi sui malati renali.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 46 di 76.

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Qui vengono riassunti i risultati della sezione dei dati dedicati ai rapporti tra albuminuria e malattie cardiovascolari. In pratica, abbiamo visto come tra elevazione dell’albumina urinaria e malattie cardiovascolari esista una associazione significativa di tipo “cross-sectional”, cioè le persone che già hanno avute problematiche cardiovascolari hanno maggiori livelli di albumina urinaria; ma anche una associazione di tipo “longitudinale”, cioè persone che originariamente hanno un’elevazione dell’albumina urinaria, ma non hanno malattie cardiovascolari, sviluppano poi, con maggiore frequenza, malattie cardiovascolari. Abbiamo poi visto che circa 1/3 delle persone con elevazione severa dell’albuminuria ha già, oppure è ad alto rischio di malattie cardiovascolari. Infine, un’osservazione che dovrebbe condizionare i nostri comportamenti clinici in futuro, e cioè l’analisi della forma della relazione tra albumina urinaria e malattie cardiovascolari, non indica assolutamente una chiara soglia per definire un valore “normale” di albumina urinaria, ma esiste una relazione continua su tutto il range di albuminuria, che viene riassunta in espressione anglosassone: “the lower, the better”.



Figura 47 di 76.

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Con l’immagine 47 passiamo alla terza sezione di dati, cioè all’analisi dei rapporti tra albuminuria e funzione renale nella popolazione.



Figura 48 di 76.

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Un primo risultato pubblicato dallo studio di Gubbio e confermato anche dallo studio Framingham, afferma che:  l’elevazione dell’albumina urinaria raramente si associa ad una diminuzione del filtrato glomerulare. In pratica, se noi dividiamo la popolazione in 4 sottogruppi, quelli che non hanno nessun segno di disfunzione urinaria; quelli che hanno la semplice elevazione dell’albumina urinaria, ma un filtrato normale; quelli che hanno una riduzione del filtrato, senza l’aumento dell’albuminuria;il gruppo con entrambi i segni di disfunzione urinaria; si possono osservare 4 spicchi di dimensione molto diversa. Le persone che non hanno nessun segno di disfunzione urinaria , cioè filtrato superiore a 60ml/min e albumina urinaria inferiore a 20 ug/min, sono di gran lunga la maggioranza della popolazione (circa il 90%). Esiste poi un 5% di popolazione ( spicchio in rosa), che ha una riduzione del filtrato, ma albumina urinaria normale. Un 4% ha un filtrato nella norma, ma un’elevazione dell’albuminuria. Meno dell’1% ha entrambi i segni di disfunzione urinaria. In altre parole, albumina urinaria e riduzione del filtrato stimato sono in genere anomalie che camminano separatamente in individui diversi.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2008 [6]



Figura 49 di 76.

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Simile conclusione ottenuta da un altro tipo di analisi, riassunta in questa immagine, nella quale si dimostra che la correlazione ottenuta tra il livello assoluto di albumina urinaria (espressa in mg/min) e il filtrato stimato è statisticamente non significativa, e comunque debole (la r è inferiore a 0,03; i punti pieni sono gli uomini i punti neri sono le donne). La distribuzione dei dati nei circa 1600 individui di mezza età dello studio di Gubbio, è tale che non suggerisce una associazione chiara tra i due parametri di disfunzione urinaria. Quindi un’ulteriore analisi a supporto dell’idea che la riduzione del filtrato glomerulare è spesso dissociata dall’elevazione dell’albuminuria e viceversa.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2008 [6]



Figura 50 di 76.

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L’immagine 50 riproduce per la clearance della creatinina un’immagine simile, già mostrata in precedenza, per i rapporti tra albumina urinaria e malattia coronarica. Se dividiamo la popolazione dello studio di Gubbio in 6 gruppi: partendo dalla colonna di destra, quelli che hanno macroalbuminuria, a seguire quelli che hanno microalbuminuria e poi la popolazione con albuminuria normale, divisa in 4 quartili; vediamo qual è la frequenza di una clearance della creatinina inferiore a 60 m/min ( all’epoca, nel 2004 la clearance della creatinina era abbastanza usata per lo studio della disfunzione renale), si vede che c’è una debole relazione, ma di tipo continuo tra valore dell’albumina urinaria e la frequenza della riduzione del filtrato glomerulare. Quindi di nuovo un messaggio coerente con i precedenti, cioè la relazione dell’albumina urinaria e danno renale è di tipo continuo; non si evidenzia chiaramente una soglia. Per altro la relazione con la malattia sembra essere meno significativa, almeno dal punto di vista statistico, di quanto osservato in precedenza con la relazione tra albuminuria e malattia cardiovascolare.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2004 [3]



Figura 51 di 76.

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Veniamo ad una serie di dati derivanti da altri studi. L’immagine rappresenta la relazione che c’è tra la proteinuria misurata all’esame urine standard , cioè con striscia, e successiva necessità di trattamento sostitutivo dialitico, in un campione di popolazione asiatica , seguita per circa 7 anni. All’inizio sono state arruolate circa 95.000 persone , in un campione di popolazione generale, divisi per fasce di filtrato glomerulare stimato e ulteriormente divisi nell’ambito di ciascuna fascia di filtrato stimato, in quelli che, al momento dell’esame, avevano proteinuria presente o proteinuria assente. I dati degli individui con proteinuria assente (i cerchietti gialli) indicano chiaramente che, più basso era il filtrato glomerulare all’inizio dei 7 anni di osservazione, più alto era il rischio di avere necessità dialitiche durante il periodo di follow-up. Dato piuttosto atteso, perché la comparsa di insufficienza renale terminale è più frequente nelle persone che all’inizio del periodo di osservazione avevano un funzionalità renale già compromessa. Però, a pari livello di funzionalità renale la comparsa della necessità di dialisi , era sempre maggiore nelle persone che avevano proteinuria presente all’inizio dello studio.

 

Bibliografia: Isekj K - 2004 [11]



Figura 52 di 76.

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Una conclusione sostanzialmente simile è quella prodotta dallo studio  scandinavo HUNT 2, in cui sono stati seguiti per circa 10 anni, 65.000 individui della popolazione generale. Si sono osservati 124 nuovi casi di insufficienza renale terminale, si è vista che l’incidenza di questi casi cresceva al crescere dei valori di albumina urinaria. E’ importante sottolineare che la maggiore pendenza della curva che lega l’albumina urinaria alla comparsa di insufficienza renale terminale, la si osserva nel passaggio tra i valori di albuminuria normale e quelli di microalbuminuria; mentre  la curva tende ad appiattirsi per i valori di macroalbuminuria particolarmente elevati. Questo quasi ad indicare che contrariamente a quello che spesso il nefrologo crede, ciò che fa la differenza tra l’ingresso in dialisi o la sopravvivenza di una buona funzione renale non è tanto la severa elevazione dell’albumina urinaria, quanto l’elevazione dell’albumina urinaria nel range considerato non severo.

 

Bibliografia: Hallan SI - 2009 [12]



Figura 53 di 76.

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Conclusioni simili sono quelle dello studio Alberta, fatto in Canada. Sono state arruolate circa 80.000 persone della popolazione generale, che avevano un filtrato stimato all’ingresso dello studio superiore ai 60 ml/min e sono state seguite per circa 3 anni. Ci sono stati 48 nuovi casi di insufficienza renale terminale e la frequenza di questi casi era significativamente legata al valore di albumina urinaria all’arruolamento. Stavolta, al contrario dello studio HUNT 2, sembra che l’elevazione severa dell’albuminuria sia quella che effettivamente determina l’aumento del rischio. Entrambi questi studi, se si valutano bene i numeri hanno una casistica troppo limitata: 48 casi incidenti nello studio Alberta e circa 120 nello studio HUNT 2. Ci sono i soliti problemi di numerosità limitata quando dati su popolazione vengono utilizzati per studiare l’insufficienza renale terminale. In questo campo della ricerca si ha necessità di grandi casistiche per fare affermazioni credibili ed affidabili.

 

Bibliografia: Hemmelgarn BR - 2010 [13]



Figura 54 di 76.

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Da questo punto di vista è estremamente utile la metanalisi del Consortium, dove si mettono insieme più casistiche , meglio seguite, di varie popolazioni generali e dove su 42.000 individui seguiti per un periodo di tempo che va dai 5 agli 11 anni, si sono osservati circa 150 casi di insufficienze renali terminali e su questo tipo di casistica era evidente, di nuovo, che c’era una relazione continua e progressiva tra l’albumina urinaria e il rischio di insufficienza renale terminale. Come si vede, un risultato simile a quello precedentemente mostrato tra albuminuria e mortalità per malattie cardiovascolari, in cui non c’è una chiara soglia, ma c’è una continua progressione del rischio in tutto il range dell’albumina urinaria. Di nuovo un messaggio del tipo: più bassa è l’albumina, più basso sarà il rischio di necessità dialitica.

 

Bibliografia:  Gansevoort RT - 2011 [8]



Figura 55 di 76.

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Nell’immagine 55 viene riproposta ed integrata l’osservazione che avevamo fatto in precedenza sulla frequenza delle complicazioni nelle persone che hanno elevazione dell’albumina urinaria. Questa volta si aggiunge alla stima dell’incidenza di decesso, la stima dell’incidenza di insufficienza renale, nelle tre fasce di albuminuria che avevamo prima indicato. I dati sono pubblicati in due diversi articoli, qui indicati, per chi volesse consultare, in maniera più estesa  la casistica. Nella metanalisi del Consortium, date 100 persone, che hanno un rapporto albumina/creatinina nella norma ( inferiore a 30 mg/g) , circa l’8% sarà deceduto dopo 10 anni e solo lo 0,1% avrà necessità dialitica. Nel sottogruppo di persone che hanno una moderata elevazione dell’albumina urinaria  (microalbuminuria: compresa tra 30-299 mg/g) dopo 10 anni la percentuale di deceduti sarà del 23% e la percentuale di persone che entreranno in dialisi sarà molto più alta del gruppo precedente, ma riguarda solo l’1,6% degli individui. Infine, nel sottogruppo con macroalbuminuria  (superiore ai 300 mg/g) , dopo 10 anni,1/3 circa delle persone sarà deceduta e solo un 15% sarà in dialisi. In altre parole, anche concentrando la nostra attenzione alle persone con albumina urinaria nel range severo, la complicazione di gran lunga più frequente è il decesso, e l’insufficienza renale terminale è una complicazione sostanzialmente più rara. Queste semplici considerazioni di tipo quantitativo dovrebbero essere utili al nefrologo per valutare qual è la complicazione più frequente nei malati renali cronici.

 

Bibliografia: Lancet 2010 [7]



Figura 56 di 76.

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L’immagine 56 riassume i dati sui rapporti tra albuminuria e funzione renale nella popolazione. I dati indicano che tra albuminuria e insufficienza renale esiste una significativa associazione longitudinale, cioè l’esistenza di albuminuria elevata predice il rischio di insufficienza renale. L’analisi della relazione non indica una soglia, ma c’è una relazione continua, già precedentemente definita con l’espressione inglese: the lower the better ; e comunque il nefrologo non deve dimenticare che nelle persone che hanno una elevazione dell’albumina nelle urine, sia essa di tipo lieve o severa, l’insufficienza renale terminale è un rischio, ma sostanzialmente più rara di un decesso.



Figura 57 di 76.

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Veniamo infine, ad alcuni aspetti metodologici importanti nella valutazione dell’escrezione urinaria di albumina.



Figura 58 di 76.

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L’immagine 58 riassume la situazione all’epoca del primo studio di Gubbio sull’escrezione urinaria di albumina (anno 1998).  All’epoca il concetto di dividere l’escrezione urinaria di albumina in 3 fasce: normale; elevazione lieve (microalbuminuria) ed elevazione severa (macroalbuminuria) era già ben radicato. Le soglie proposte per la definizione di queste 3 fasce differivano, però, non solo in base al tipo di raccolta urinaria utilizzata, m anche in base alle differenti unità di misura proposte. Una tale complicazione nella presentazione del messaggio non è di sicuro d’aiuto alla possibilità che tale messaggio ,quello di utilizzare l’albumina come marcatore del rischio di morte, di malattia cardiovascolare o di malattia renale, possa essere recepito da medici che svolgono un’attività diversa da quella del nefrologo.



Figura 59 di 76.

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L’immagine 59 riassume i suggerimenti che nel 2003, la National Kidney Foundation dava, nel tentativo di semplificare la diagnosi e la stadiazione della malattia urinaria. La parte sinistra del testo  sottolineava l’importanza della misura dell’escrezione dell’albumina urinaria (primo paragrafo). Nel secondo paragrafo sottolineava il fatto che la misura del rapporto tra albumina e creatinina nelle urine, oppure tra proteine totali e creatinina in campioni di urine random , e non temporizzate, doveva essere considerato il metodo preferito per quantizzare il livello di proteinuria o albuminuria.

 

Bibliografia: Levey AS - 2003 [14]



Figura 60 di 76.

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L’immagine 60 concentra l’attenzione sulla definizione del rapporto albumina/creatinina in un rapporto casuale di urine, che è preferibile abbreviare con la sigla uACR, piuttosto che con il semplice termine ACR.  In sostanza si tratta di una misura approssimativa della velocità di escrezione urinaria di albumina che elimina i problemi legati ai tempi, i costi e gli errori di una raccolta temporizzata delle urine, quale che sia la raccolta: 24h, overnigth o altro tipo di durata. La cosa fondamentale che il metodo introduce è la necessità di utilizzare una misura precisa della quantità di albumina nelle urine data, non dall’esame delle urine standard , ma da metodi più precisi, quelli basati sulla turbidimetria, sul RIA, che misurano la concentrazione dell’albumina e la esprimono in mg/l.  Il metodo viene integrato dalla misura della concentrazione urinaria di creatinina espressa in g/l. Infine, dal calcolo del rapporto delle due concentrazioni, che per definizione, risulta del tutto indipendente dal volume e dalla durata della raccolta.



Figura 61 di 76.

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Nell’immagine vengono riassunti i dati pubblicati nello studio di Gubbio del 2006, dove si mostra l’alto grado di correlazione che c’è tra rapporto albumina/creatinina nelle urine, espresso in mg/g, ed escrezione urinaria temporizzata nella rilevazione overnight. Si vede che il coefficiente di correlazione supera il valore di 0.9, ma che anche ad occhio è evidente la ottima correlazione che c’è tra il rapporto albumina/creatinina ed il rapporto assoluto di escrezione urinaria di albumina. Esistono pochi dubbi che la semplice misura del rapporto, tenendo anche presente  la semplicità di questa misura, cioè l’indipendenza dal tempo, dal volume e da altri fattori di confusione, sia un indice semplice ed affidabile per misurare la quantità di albumina escreta nelle urine.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2006 [4]



Figura 62 di 76.

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L’immagine 62 torna alle indicazioni date dalla National Kidney Foundation e sottolinea un altro punto meritevole di attenzione. Se si è tutti d’accordo sul fatto che dobbiamo considerare patologico un rapporto albumina/creatinina che è superiore a 30 mg/g ,  e c’è la proposta di introdurre dei cut-points, delle soglie diverse tra uomini e donne. La soglia proposta per gli uomini è più bassa (17mg/g) rispetto a quella delle donne (25mg/). A prescindere dai valori assoluti, ci si deve concentrare sul fatto che la proposta sottolinea la necessità di una soglia diversa tra uomini e donne, con una soglia più alta nelle donne rispetto agli uomini.

 

Bibliografia: Levey AS - 2003 [14]



Figura 63 di 76.

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L’immagine 63, già mostrata, ripropone l’osservazione, vecchia ormai di 13 anni,  che in termini assoluti l’escrezione urinaria di albumina tende ad essere sempre più alta negli uomini rispetto alle donne. Questo sia per quanto riguarda l’elevazione lieve dell’albuminuria, che quella macro.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 64 di 76.

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Se si prendono i valori medi nei 2 sessi, si osserva che in media l’escrezione di albumina urinaria è un po’ più bassa nelle donne che negli uomini. Se si guarda la creatinina urinaria, espressa in mg/l, la differenza è anche più evidente. L’escrezione di creatinina urinaria nelle donne è sostanzialmente più bassa di quella degli uomini. Se si calcola il rapporto albumina/creatinina, l’escrezione urinaria media di albumina diventa più alta nelle donne.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 65 di 76.

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L’immagine 65 ripropone questi numeri sottolineando le differenze percentuali tra i due sessi, indicate in rosso nella colonna delle donne.  Si vede che in assoluto, la quantità di albumina urinaria nelle donne è del 7% più bassa che negli uomini, in media; però la creatinina urinaria delle donne è del 33% più bassa rispetto agli uomini, cioè una differenza più larga di quella osservata per l’albumina. E’ proprio il valore sostanzialmente più basso della creatinina urinaria nelle donne che spiega come mai, quando esprimiamo il dato dell’albumina urinaria come rapporto albumina/creatinina il valore diventa più alto del 23% circa nelle donne rispetto agli uomini . Questa rilevazione matematica spiega perché le soglie albumina/creatinina tendano ad essere più alte per le donne che per gli uomini.

 

Bibliografia: Cirillo M - 1998 [1]



Figura 66 di 76.

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L’immagine 66 continua ad analizzare queste differenze tra uomini e donne legata all’albuminuria espressa in termini assoluti e al rapporto albumina/creatinina.  Le due colonne a sinistra, in blu e in blu tratteggiato, presentano i dati relativi agli uomini. Se utilizziamo il cut-off  tradizionale di albuminuria superiore a 20 mg/min, circa il 6% degli uomini ha un’albuminuria elevata.  Se utilizziamo il cut-off utilizzato dalla National Kidney Foundation, di un rapporto albumina/creatinina, superiore a 17 mg/g, vedete che la percentuale di uomini con rapporto elevato sale a circa l’11%. La situazione, con numeri diversi, è in sostanza simile per le donne. L’albuminuria elevata espressa in mg/min è presente nel circa 3% delle donne;  utilizzando il rapporto creatinina/albumina superiore a 25 mg/g, cioè la soglia proposta dalla National Kidney Foundation, le donne con albumina urinaria elevata diventano circa l’8%.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2006 [4]



Figura 67 di 76.

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In pratica, utilizzando il rapporto albumina/creatinina, c’è una percentuale non piccola di persone, sia tra gli uomini, che tra le donne, che hanno effettivamente un rapporto albumina/creatinina elevato, ma che non hanno un aumento dell’albuminuria quando questa è espressa in mg/min.  Per semplicità, nelle successive immagini, chiameremo queste persone come “falsi positivi”. Saranno definiti come falsi positivi le persone che avranno un rapporto albumina/creatinina elevato, utilizzando le soglie proposte dal National Kidney Foundation, ma che invece non hanno un’albuminuria elevata utilizzando la classica soglia dei 20 mg/min. Chiameremo ,invece, “ veri positivi” le persone che rientrano nella definizione di albuminuria elevata sia utilizzando il rapporto albumina/creatinina, sia utilizzando l’albuminuria espressa in mg/min.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2006 [4]



Figura 68 di 76.

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L’immagine riassume quali sono le principali diversità tra i “veri positivi” e i “falsi positivi” . i falsi positivi sono persone che in media pesano 6 chili in meno; che hanno una massa non grassa, determinata con metodo basato su plicometria, di 4 chili più bassa; una massa grassa sostanzialmente identica; una creatinina urinaria molto più bassa dei veri positivi. In altre parole, le persone definite come falsi positive, cioè con un rapporto albumina/creatinina elevato, ma con un’albuminuria non elevata, sono delle persone nelle quali esiste una riduzione della creatinina urinaria dovuta alla loro minore massa corporea, e in particolare alla loro ridotta massa muscolare.

 

Bibliografia: Cirillo M - 2006 [4]



Figura 69 di 76.

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L’immagine 69 ricorre all’iconografia Hollywoodiana per cercare di semplificare il messaggio delle immagini precedenti.  Supponiamo che Stallone, De Vito e Woody Allen abbiano tutti un’escrezione di albumina urinaria nella norma. Per le loro evidenti differenze antropometriche ci aspettiamo una creatinina urinaria sostanzialmente diversa. Stallone tenderà ad avere una creatininuria ai limiti alti della norma; De Vito avrà una creatininuria sostanzialmente normale e Woody Allen avrà una creatininuria sostanzialmente ridotta, stante la sua scarsissima massa muscolare.  Il rapporto albumina/creatinina calcolato in questi 3 pazienti non sarà lo stesso, benché hanno tutti e 3 la stessa quantità normale di albumina nelle urine. Il rapporto tenderà ad essere nella norma per Stallone e De Vito, ma tenderà ad essere falsamente elevato in Woody Allen, perché sarà un’elevazione spiegata dalla bassa creatinina urinaria e non da una sua elevazione della albumina urinaria.



Figura 70 di 76.

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L’immagine 70 riassume e semplifica ulteriormente il messaggio che, utilizzando il rapporto albumina/creatinina la percentuale di persone che avranno una elevazione del rapporto falsa, cioè che non indica una reale elevazione dell’albumina urinaria, tenderà a crescere, perché minore sarà la massa muscolare, minore sarà la quantità di creatinina urinaria, e quindi maggiore sarà il rapporto albumina/creatinina, non per un aumento dell’albumina, ma per una riduzione della creatinina.



Figura 71 di 76.

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L’immagine sottolinea il fatto che la variazione della quantità di creatinina urinaria è una cosa che il medico non deve sottovalutare, perché esistono larghe differenze nella quantità di creatininuria, legati al sesso (puntini rossi: le donne; puntini blu: uomini), e legate all’età. In entrambi i sessi , su livelli diversi, la quantità di creatinina nelle urine decresce con l’età, verosimilmente per la progressiva riduzione della massa muscolare.



Figura 72 di 76.

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L’immagine 72 riassume le conclusioni su questi aspetti metodologici. La misura del rapporto albumina/creatinina nelle urine casuali (uACR) rappresenta oggi il metodo di riferimento per la misura dell’albuminuria, per motivi di bassi costi, tempi ridotti, e indipendenza da errori nella raccolta urinaria. Va ricordato che il rapporto albumina/creatinina può essere falsamente elevato nelle persone con creatininuria ridotta, cioè in tutte quelle persone in cui esiste una riduzione della massa muscolare.



Figura 73 di 76.

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L’immagine 73, già vista, ricapitola le conclusioni delle varie sezioni di questa relazione.  Tra i determinanti dell’elevazione dell’albumina urinaria nella popolazione generale, il genere maschile gioca sicuramente un ruolo, ma ha poca importanza medica, perché non è un fattore correggibile.  I determinanti invece, potenzialmente correggibili per prevenire e curare l’aumento dell’escrezione urinaria di albumina sono: il grado di sovrappeso, il grado di ipertensione arteriosa, il fumo di sigaretta, il diabete mellito e l’ipercolesterolemia.



Figura 74 di 76.

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Esiste una forte associazione tra l’elevazione dell’albuminuria e le malattie cardiovascolari, sia di tipo “cross-sectional”, cioè le persone che hanno avuto malattie cardiovascolare hanno più albumina nelle urine; sia di tipo “longitudinale”, cioè le persone che hanno una elevazione dell’albumina nelle urine , ma sono prive di malattie cardiovascolari, tendono nel tempo a sviluppare malattia cardiovascolare “de novo” più frequentemente delle persone che non hanno elevazione di albumina nelle urine. Va ricordata che l’associazione tra i due fenomeni è talmente forte, che circa un terzo delle persone che hanno elevazione severa dell’albuminuria, o ha già avuto, o avrà nel giro di alcuni anni una malattia cardiovascolare importante.  Infine, l’analisi della forma della relazione tra albumina urinaria e malattia cardiovascolare non indica un valore soglia, ed un normale range di normalità, ma è una relazione di tipo continuo e in cui più basso è il valore di albumina urinaria, migliore è la situazione del rischio cardiovascolare.



Figura 75 di 76.

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L’immagine 75 riassume le conclusioni per i rapporti tra albuminuria e malattia renale. Esiste un’associazione significativa di tipo longitudinale tra quantità di albuminuria e rischio di danno renale, cioè le persone che hanno un’elevata quantità di albumina nelle urine tendono nel tempo a manifestare un rischio di insufficienza renale terminale più alto. Anche in questo caso l’analisi della relazione non indica un chiaro range di normalità e una soglia, ma la relazione è continua, per cui più alto è il valore di albumina nelle urine, più alto sarà il rischio di insufficienza renale. Va tenuto presente che, sia nelle persone che hanno un’elevazione lieve dell’albuminuria (microalbuminuria), che in quelle che hanno un’elevazione severa dell’albuminuria (macroalbuminuria), l’insufficienza renale terminale è un rischio, ma sostanzialmente  più raro del decesso. Il decesso, in particolare per malattie cardiovascolari, è di gran lunga la complicazione più comune nelle persone che hanno elevazione della quantità di albumina nelle urine.



Figura 76 di 76.

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L’immagine conclusiva riassume la proposta attuale derivata dalla metanalisi del CKD Consortium  che aggiunge alla stratificazione del rischio renale, basata sulla semplice misura del filtrato glomerulare stimato (indicato a sinistra), anche la valutazione del rapporto albumina/creatinina nelle urine. Propone una stratificazione del rischio della malattia renale crescente, in modo diagonale, dalle zone a basso rischio (indicate in verde), alle zone ad alto rischio (indicate in rosso via via più scuro), spiegata dall’interazione di questi due fattori che, nei dati messi insieme dal Consortium  predicono in maniera abbastanza significativa il rischio sia di morte, che di insufficienza renale terminale.

 

Bibliografia:

Levey AS - 2010 [15]  full text >>



Bibliografia

[1] Cirillo M, Senigalliesi L, Laurenzi M et al. Microalbuminuria in nondiabetic adults: relation of blood pressure, body mass index, plasma cholesterol levels, and smoking: The Gubbio Population Study. Archives of internal medicine 1998 Sep 28;158(17):1933-9

[2] Cirillo M, Stellato D, Laurenzi M et al. Pulse pressure and isolated systolic hypertension: association with microalbuminuria. The GUBBIO Study Collaborative Research Group. Kidney international 2000 Sep;58(3):1211-8

[3] Cirillo M, Laurenzi M, Panarelli P et al. Relation of urinary albumin excretion to coronary heart disease and low renal function: role of blood pressure. Kidney international 2004 Jun;65(6):2290-7

[4] Cirillo M, Laurenzi M, Mancini M et al. Low muscular mass and overestimation of microalbuminuria by urinary albumin/creatinine ratio. Hypertension 2006 Jan;47(1):56-61

[5] Cirillo M, Laurenzi M, Mancini M et al. Low glomerular filtration in the population: prevalence, associated disorders, and awareness. Kidney international 2006 Aug;70(4):800-6

[6] Cirillo M, Lanti MP, Menotti A et al. Definition of kidney dysfunction as a cardiovascular risk factor: use of urinary albumin excretion and estimated glomerular filtration rate. Archives of internal medicine 2008 Mar 24;168(6):617-24

[7] Chronic Kidney Disease Prognosis Consortium, Matsushita K, van der Velde M et al. Association of estimated glomerular filtration rate and albuminuria with all-cause and cardiovascular mortality in general population cohorts: a collaborative meta-analysis. Lancet 2010 Jun 12;375(9731):2073-81

[8] Gansevoort RT, Matsushita K, van der Velde M et al. Lower estimated GFR and higher albuminuria are associated with adverse kidney outcomes. A collaborative meta-analysis of general and high-risk population cohorts. Kidney international 2011 Jul;80(1):93-104

[9] Cirillo M, De Santo LS, Pollastro RM et al. Creatinine clearance and hemoglobin concentration before and after heart transplantation. Seminars in nephrology 2005 Nov;25(6):413-8

[10] Berton G, Citro T, Palmieri R et al. Albumin excretion rate increases during acute myocardial infarction and strongly predicts early mortality. Circulation 1997 Nov 18;96(10):3338-45

[11] Iseki K, Kinjo K, Iseki C et al. Relationship between predicted creatinine clearance and proteinuria and the risk of developing ESRD in Okinawa, Japan. American journal of kidney diseases : the official journal of the National Kidney Foundation 2004 Nov;44(5):806-14

[12] Hallan SI, Ritz E, Lydersen S et al. Combining GFR and albuminuria to classify CKD improves prediction of ESRD. Journal of the American Society of Nephrology : JASN 2009 May;20(5):1069-77

[13] Hemmelgarn BR, Manns BJ, Lloyd A et al. Relation between kidney function, proteinuria, and adverse outcomes. JAMA : the journal of the American Medical Association 2010 Feb 3;303(5):423-9

[14] Levey AS, Coresh J, Balk E et al. National Kidney Foundation practice guidelines for chronic kidney disease: evaluation, classification, and stratification. Annals of internal medicine 2003 Jul 15;139(2):137-47

[15] Levey AS, de Jong PE, Coresh J et al. The definition, classification, and prognosis of chronic kidney disease: a KDIGO Controversies Conference report. Kidney international 2011 Jul;80(1):17-28

Parole chiave: Albuminuria

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