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Parte 1: Corso FAD sull'ipertensione


Nuove aree di ricerca clinica nell'ipertensione

release pubblicata il  23 settembre 2011 
da Alessandro Zuccalà

Figura 1 di 42.

Nonostante la disponibilità di farmaci antipertensivi sempre più numerosi e sofisticati un numero sostanziale di soggetti ipertesi non raggiunge i valori target previsti. Tali soggetti vengono considerati affetti da ipertensione non controllata

Si stima che circa un quarto degli ipertesi in  trattamento farmacologico presenti una ipertensione non controllata [US Department of Health 2000] .

Va tuttavia sottolineato che spesso si confonde il concetto di Ipertensione non controllata con quello di ipertensione resistente



Figura 2 di 42.

Come la diapositiva mostra i pazienti con ipertensione non controllata costituiscono un gruppo sicuramente disomogeneo, poiché diversi fattori possono portare ad un mancato controllo ottimale della PA.

Si definisce ipertensione resistente o refrattaria una situazione clinica in cui non si raggiungono i valori di pressione arteriosa (PA) previsti dalle linee guida, che sono <140/90 mmHg per la popolazione generale e <130/80 mmHg per i soggetti con diabete e malattie renali, nonostante l’uso di almeno tre farmaci, usati ai dosaggi massimi previsti, e tra i quali vi sia un diuretico. [M. Moser - 2006, D.A. Calhoun - 2008, P.A. Sarafidis - 2008,] . Fattori di reale resistenza ai farmaci sono: l’obesità e/o la sindrome metabolica, la sleep apnoea, le malattie renali in particolare se è presente insufficienza renale , le ipertensione secondarie.



Figura 3 di 42.

Tra i fattori che inducono una “pseudoresitenza”  la scarsa compliance alla terapia da parte del paziente è uno dei comuni. Gli Autori di questo studio hanno dimostrato, usando un monitoraggi elettronico del container dei farmaci, che la compliance diminuisce proporzionalmente alla frequenza della somministrazione di farmaci..

Altro fattore di pseudoresistenza è l’inerzia di alcuni medici che, una volta prescritta una terapia, ritengono il loro compito esaurito, e non si preoccupano di valutarne gli effetti e di correggere eventuali insuccessi cambiando i farmaci o aumentandone i dosaggi,….



Figura 4 di 42.

Causa di pseudo-resistenza è anche l’ipertensione da camice bianco, situazione in cui la PA, ben controllata nella vita di tutti i giorni, diventa elevata, per fattori emotivi,  in presenza del medico. La diapositiva mostra i valori di PAS misurati a domicilio con apparecchio automatico e durante la visita in ospedale in un paziente con insufficienza renale (stadio 5 della classificazione K-DOKI), seguito presso la U.O. di Nefrologia e Dialisi di Imola.



Figura 5 di 42.

Cosa fare nei soggetti con ipertensione resistente vera? La diapositiva mostra l’andamento della pressione delle 24 ore in 12 soggetti con ipertensione resistente trattati in maniera randomizzata, cross-over con una dieta contenente 50 mEq di sodio/die per 7 gg. (low salt), verso una dieta con 250 mEq di sodio/die per 7 gg. Tra i due trattamenti vi era un wash out di 2 settimane

Ai pazienti con ipertensione resistente vera andrebbe quindi sempre applicata una rigorosa dieta iposodica [Pimenta E - 2009].



Figura 6 di 42.

L’obesità ed il sovrappeso, stimolando il sistema simpatico, sono tra le cause di ipertensione resistente. La diapositiva mostra i cambiamenti dell’attività nervosa simpatico diretta ai muscoli (MSNA) in donne obese sottoposte a dieta ipocalorica o a dieta ipocalorica più esercizio fisico paragonate a donne obese che avevano rifiutato I due interventi. La reduzione in MSNA fu significativamente maggiora nella dieta ipocalorica sola o associate ad esercizio (p<0.05).

I soggetti con ipertensione resistente, obesi andrebbero invitati a dimagrire, spiegando loro che il dimagrimento è uno strumento molto efficace per ridurre l’attività simpatica basale e quindi i valori pressori [Trombetta IC - 2003, da Silva AA - 2009]



Figura 7 di 42.

La diapositiva mostra la riduzione della PAS e della PAD in 76 soggetti con ipertensione resistente, affetti da iperaldosteronismo primitivo (34) (colonne nere) o da ipertensione essenziale (42) (colonne bianche), dopo somministrazione di spironolattone (12,5-50 mg/die) [Chapman N - 2007] L’uso degli antialdosteronici va sempre tenuto presente in questi pazienti



Figura 8 di 42.

La diapositiva ricorda i positivi effetti sul controllo pressorio, ottenuti con un inibitore dell’endotelina (darusentan) in soggetti con ipertensione resistente, studiati con un trial randomizzato, controllato, in doppio cieco.[Weber, MA - 2009]. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi prima che tali farmaci possano entrare nella pratica clinica.



Figura 9 di 42.

Il compito dello specialista è quello di identificare i soggetti che presentano una vera  resistenza, escludendo con una attenta anamnesi la scarsa compliance del paziente,  e la cattiva gestione della terapia da parte del curante. Va inoltre esclusa mediante le opportune registrazione domiciliari, l’ipertensione da camice bianco.

La flow chart riassume le misure da adottare nei soggetti con ipertensione non controllata.. Sole se queste misure falliscono o se il paziente le rifiuta, lo specialista dovrà prendere in considerazioni i nuovi approcci terapeutici che andiamo a considerare.



Figura 10 di 42.

L’ipertensione resistente è associata all’iperattività simpatica.

Sia la simpaticectomia renale che i congegni che stimolano i nervi provenienti dai barocettori carotidei agiscono abbassando il tono del sistema simpatico e questo ha riportato alla luce della ribalta il ruolo di tale sistema nel campo dell’ipertensione.

Abbiamo citato tra le cause di IR vera, l’obesità con la sindrome metabolica, la sleep apnoea e le malattie renali con insufficienza renale. Ebbene in queste situazioni l’attività simpatica è decisamente aumentata [ Esler  M - 1988, Landsberg L - 2006 ].



Figura 11 di 42.

La sindrome delle apnee notturne (sleep apnoea syndrome) si associa ad iperfunzione simpatica. La diapositiva mostra come la misura basale dell’attività simpatica diretta ai muscoli (MSNA) e la PAM (BPmean) siano più elevate nei soggetti con sindrome metabolica associata a sindrome delle apnee notturne (MetSyn+OSA) che nei pazienti con sindrome metabolica senza sindrome delle apnee notturne (MetSyn-OSA).



Figura 12 di 42.

Nell’obesità l’ipertensione si accompagna ad elevata attività simpatica. Un ruolo importante potrebbe essere giocato dalla leptina. La leptina avrebbe, fisiologicamente,  il compito di ridurre l’appetito e quindi l’apporto calorico ed attivare, mediante la stimolazione simpatica, la termogenesi e quindi il  consumo di calorie. Nelle situazioni in cui è presente una resistenza a queste funzioni della leptina (identificate nella diapositiva con le saette), si crea un circolo vizioso che porta  a sempre più elevati livelli di leptina che iperstimolando il sistema simpatico porterebbero  allo sviluppo dell’ipertensione [Rahmouni K - 2010].



Figura 13 di 42.

La diapositiva mostra come un ruolo accessorio nella stimolazione del sistema simpatico sia giocato dall’iperinsulinemia tipica dell’obesità viscerale.[Landsberg L  -2006]



Figura 14 di 42.

Nell’insufficienza renale l’attivazione del sistema simpatico è stata dimostrata in modo convincente [Converse Jr TN - 1992, Zoccali C - 2003] ed è innescata dai reni alterati: la rimozione di tali reni normalizza infatti l’attività simpatica [Hausberg - M 2002]. 

La diapositiva dimostra che in gruppo di soggetti trapiantati, la nefrectomia dei reni nativi, non funzionanti, comporta una riduzione significativa dell’attività simpatica. Questi dati suggeriscono l’importanza degli stimoli afferenti provenienti dai reni malati nel determinare l’iperattività simpatica.



Figura 15 di 42.

Infine vi sono indizi che, almeno in alcuni soggetti, la stessa terapia antipertensiva possa attivare una controreazione simpatica.[Fu Q - 2005, Wray DW - 2010].

La diapositiva mostra il netto aumento dell’attività simpatica indotta dalla riduzione pressoria ottenuta con una associazione di idroclorotiazide e sartanico. L’aumentata attivazione perdurò per tutti i tre mesi del follow up.



Figura 16 di 42.

Quanto detto suggerisce che il sistema simpatico sia un bersaglio ideale di una terapia, non farmacologica,  nei soggetti con ipertensione resistente. Ciò potrebbe portare alla rottura di consolidati schemi interpretativi, dato che negli ultimi decenni il sistema renina-angiotensina- aldosterone ha fatto la parte del leone nel campo della malattie vascolari, monopolizzando o quasi,  l’attenzione dei clinici e dei ricercatori. Inoltre per i nefrologi in particolare, risulta sempre un po’ complicato uscire concettualmente dal binomio sodio/renina. Tuttavia, come lo schema proposto suggerisce,  il sistema simpatico è altrettanto importante dei due fattori su citati nel determinismo della patologia cardiovascolare e gioca probabilmente un ruolo importante anche nella progressione delle malattie renali [Ritz E - 2010]



Figura 17 di 42.

Tuttavia il sistema simpatico e più in generale il sistema autonomo, di cui insieme al parasimpatico fa parte, sono sistemi molto complessi e ancora imperfettamente studiati e ciò spiega la riluttanza dei clinici a interessarsene e soprattutto a manipolarli nella pratica clinica. Eppure più di 50 anni fa la rimozione chirurgica del sistema simpatico e la stimolazione elettrica del seno carotideo, erano praticamente le uniche armi di cui i clinici disponevano per trattare l’ipertensione ed in particolare l’ipertensione maligna, che portava a morte la quasi totalità dei pazienti in 5 anni. E tale manovre erano spesso, anche se non sempre, efficaci [Smithwick RH - 1953, Morrissey DM - 1953]  La diapositiva mostra l’esito della simpaticectomia chirurgica in 2 pazienti : una ragazza di 22 anni, (colonna a sinistra) ed un uomo di 53 anni, (colonna destra) riportati da Freiberg [Freiberg RH -1937] . La normalizzazione pressoria si mantenne per la durata del follow up (11 mesi in un caso e 17 mesi nell’altro).



Figura 18 di 42.

Gli studi dell’epoca documentano una riduzione della mortalità, in particolare nei pazienti con ipertensione maligna, dopo simpaticectomia, e sono riportati casi nei quali la normalizzazione pressoria persisteva per molti anni dopo l’intervento [Peet - MM 1947]. La diapositiva mostra l’ eccezionale effetto della simpaticectomia lombare in un soggetto giovane  con ipertensione maligna (la PA passa da 280/190 mmHg a 110/90 mmHg !). La normalità pressoria ottenuta con l’intervento si prolungò per tutto il periodo del follow up durato più di 13 anni.

Purtroppo, non tutti i pazienti rispondevano alla denervazione ed inoltre la simpaticectomia, allora praticata asportando numerosi gangli simpatici, portava spesso a complicanze estremamente fastidiose, quali impotenza, incontinenza fecale e vescicale, ed ipotensione ortostatica.

Per quanto riguarda la stimolazione dei barocettori carotidei,  anch’essa notevolmente efficace in casi isolati,  poteva contare in quegli anni su una tecnologia molto primitiva e quindi era sostanzialmente inapplicabile nella pratica clinica, Pertanto la comparsa dei primi efficaci farmaci antipertensivi relegò ambedue le tecniche nel dimenticatoio.



Figura 19 di 42.

Il termine ricerca significa etimologicamente -almeno in inglese dove “Research” means “look back” [Frohlich ED - 2000]- guardare indietro, ricordare, ed implica la rielaborazione dei vecchi concetti, apparentemente superati.  Non deve destare quindi meraviglia che le due tecniche su citate, giovandosi di miglioramenti tecnologici, impensabili 50 anni fa, abbiano fatto la loro ricomparsa nello scenario clinico .

I congegni stimolanti i barocettori. Va subito detto che il termine usato è impreciso e fuorviante. Non si tratta assolutamente di congegni che stimolano il recettore carotideo che, come è ben noto, è un meccanocettore ovvero un recettore deputato a sentire l’aumentata tensione (o detensione) della parete vascolare carotidea a livello della biforcazione. Un sistema di stimolo diretto del recettore avrebbe scarse probabilità di funzionare , per il ben noto fenomeno dell’adattamento (o resetting) recettoriale ad uno stimolo cronico [Malpas SC - 2004], e sarebbe probabilmente pericoloso poiché il recettore sottoposto ad una  continua stimolazione non sarebbe in grado di percepire le continue, fisiologiche, oscillazioni pressorie, e quindi di regolarle, con la conseguenza di indurre una grave disautonomia.

Il sistema Rheos [Illig K - 2006, Tordoir JKM - 2007] di cui parleremo si limita ad applicare, a valle del recettore, uno stimolo elettrico che, arrivando ai centri cerebrali superiori, riduce l’attività del sistema simpatico. Quindi essendo l’azione del device esercitata direttamente sui centri nervosi superiori, sfugge al fenomeno del resetting, tipico della stimolazione (meccanica) diretta dei barocettori, e quindi permette un’azione antipertensiva cronica.

 Dal punto di vista dell’interpretazione fisiologica ciò che accade, (quando si attiva l’apparecchio Rheos)  non è del tutto chiaro. E’ tuttavia importante sottolineare che i nervi afferenti, a partenza dal barocettore carotideo, contengono due tipi di fibre: A e C [Malpas SC - 2004]. I due tipi di fibre hanno proprietà differenti per quanto riguarda l’attività a riposo, la frequenza di scarica , la soglia di pressione a cui sono stimolate, e soprattutto hanno differenti capacità di resettarsi. E’ possibile, anche se non definitivamente provato, che le fibre di tipo A esercitino la tipica funzione barocettoriale a breve termine, sovraintendano cioè ai riflessi circolatori, mentre le altre (tipo C) abbiano una azione a lungo termine [Malpas SC - 2004]. Quindi il barocettore carotideo resta assolutamente in grado di sentire le oscillazioni acute della pressione, reagendo opportunamente ad esse e, pertanto, i riflessi circolatori, senza i quali non si potrebbe avere una accettabile qualità della vita, restano integri.



Figura 20 di 42.

La diapositiva mostra che gli elettrodi vengono posizionati, mediante sutura, nello spazio perivascolare della carotide, in prossimità della biforcazione. Gli impulsi stimolano le terminazione nervose ramificate nell’avventizia vascolare e sono portati ai centri nervosi superiori. L’inserzione del Rheos [Illig K -2006, Tordoir JKM -2007] è bilaterale, avviene mediante un intervento chirurgico che prevede l’anestesia generale ed una ospedalizzazione di alcuni giorni. La durata media dell’intervento è intorno ai 200 minuti.  Vengono inseriti nell’avventizia della carotide, in prossimità del barocettore due elettrodi che vengono collegati ad un apparecchio generatore di impulsi, inserito in una tasca sottocutanea, sopraclavicolare. Prima che gli elettrodi vengano fissati definitivamente mediante sutura, vengono effettuate una serie di prove, variando  frequenza, ampiezza e voltaggio, che permettono di identificare gli stimoli più utili ad abbassare la PA. Dopo l’intervento l’apparecchio viene lasciato a riposo per circa un mese dopodiché viene acceso e comincia ad inviare gli impulsi che trasmessi ai centri nervosi superiori inibiscono l’attività simpatica. E’ possibile regolare dall’esterno mediante l’invio di impulsi i parametri relativi agli impulsi da inviare.



Figura 21 di 42.

Prove di efficacia Uno studio di fase II su 10 soggetti con ipertensione resistente fu effettuato da Illig e coll.[Illig K - 2006], i quali poterono dimostrare, usando il Rheos, una consistente diminuzione della PA (41 mmHg) senza particolari effetti indesiderati. L riduzione pressoria risultò proporzionale al voltaggio applicato. Nello studio vennero valutati i rapporti, direttamente proporzionali,  tra il voltaggio delle scariche e le variazioni della PAS e della FC.



Figura 22 di 42.

Il primo studio, con un follow up di circa due anni ,è stato pubblicato nel 2010 da Scheffers e coll, [Scheffers U - 2010], i quali dimostrarono una consistente riduzione della PA (21/12 mmHg dopo 3 mesi e 33/22 mmHg dopo 2 anni) in 17 soggetti con ipertensione resistente..



Figura 23 di 42.

Inoltre nello stesso studio fu dimostrato che i riflessi circolatori non venivano alterati e non compariva quindi ipotensione ortostatica. Nella diapositiva in  A) le colonne rosse indicano la distanza percorsa in 6 minuti, al basale e dopo 3 e 12 mesi dall’applicazione della terapia. Dopo l’attivazione del Rheos i pazienti furono in grado di percorrere 48 metri in più. In B) viene mostrata la creatininemia al basale, dopo 3 e 12 mesi dall’applicazione della terapia. Vi è un modesto aumento di incerto significato clinico. Infine in C) si vedono i valori della pressione arteriosa sistolica (SBP),  diastolica (DBP) e della FC (HR) in posizione supina e dopo 1,3,5 minuti di posizione eretta, prima (linee nere) e dopo (linee rosse) l’applicazione della terapia. Non è presente ipotensione ortostatica.



Figura 24 di 42.

Il primo studio randomizzato sull’uso del Rheos è stato pubblicato recentemente su JACC: [Bisognano JD - 2011]. La diapositiva mostra il disegno dello studio.  Nello studio erano stati arruolati 265 soggetti , tutti ipertesi resistenti alla terapia. A tutti i partecipanti allo studio fu applicata l’apparecchiature Rheos. Dopo un mese dall’applicazione, tempo che serve a far guarire la ferita e permette una fissazione stabile degli elettrodi, e durante il quale l’apparecchio è tenuto spento, i soggetti vennero  randomizzati 2:1 alla terapia attiva (il congegno Rheos fu attivato: device-ON) o fecero da controllo (il congegno rimase spento: device OFF). La parte randomizzata dello studio durò 6 mesi , al termine dei quali l’apparecchio venne attivato in tutti i soggetti e si passò alla fase aperta, dello studio.



Figura 25 di 42.

Vi erano due ipotesi di efficacia del trattamento da verificare: la prima era che una proporzione significativamente maggiore dei soggetti in trattamento attivo avrebbe avuto una riduzione della PAS di almeno 10 mmHg, rispetto al gruppo di controllo. La seconda ipotesi da verificare era che più del 65% dei soggetti avrebbe mantenuto dopo ulteriori 6 mesi di trattamento almeno il 50% del miglioramento della PA.

Abbastanza clamorosamente la prima ipotesi dello studio fu rigettata: infatti dopo 6 mesi di follow up, risultarono responders (cioè ebbero almeno 10 mmHg di riduzione della PAS) il 54% dei soggetti con apparecchio attivato (gruppo A) ed il 46% dei soggetti con apparecchio spento (gruppo B) (p=0.97). Risultò invece verificata la seconda ipotesi sperimentale poiché l’88% dei responders mantennero la risposta nel lungo termine (12 mesi).



Figura 26 di 42.

Fu eseguita inoltre un’analisi ancillare di efficacia tesa a verificare che una percentuale significativamente superiore di soggetti in trattamento attivo avrebbe raggiunto la normalizzazione pressoria rispetto ai controlli e tale ipotesi risultò verificata. Raggiunsero la normotensione il 42% dei soggetti nel gruppo A ed il 24% nel gruppo B (p<0.005). La diapositiva mostra il numero dei soggetti che raggiungono la normotensione, nei due bracci dello studio, dopo 6 mesi.:colonne rosse = stimolatore spento, colonne azzurre = stimolatore acceso. la differenza è statisticamente significativa.

Dopo 12 mesi,con lo stimolatore acceso in ambedue i gruppi (fase aperta dello studio), circa il 50% dei soggetti raggiunse la normotensione.



Figura 27 di 42.

Quando vennero paragonate le PA pre-impianto con quelle post-impianto si ebbe a 6 mesi una riduzione della PAS di 26 + 30 mmHg nel gruppo attivo  e di 17 + 29 mmHg nel gruppo di controllo. Le rispettive differenze a 12 mesi (quando in ambedue i gruppi l’apparecchio era stato attivato) furono di 35 + 28 per il gruppo A e di 33 + 30 per il gruppo B. La diapositiva mostra l’entità della riduzione della PAS, rispetto al basale,  nei due gruppi di soggetti : colonne azzurre terapia attiva (stimolatore acceso), colonne rosse controlli (stimolatore spento) . Dopo 12 mesi tutti i soggetti hanno lo stimolatore acceso.

 I dati su riportati sono interessanti ma non permettono un giudizio definitivo sul reale potenziale terapeutico del Rheos. Il mancato raggiungimento dell’outcome primario (percentuale di soggetti che avevano un abbassamento della PAS di almeno 10 mmHg) non deve trasformarsi in un giudizio di mancata efficacia antipertensiva del congegno. Infatti nell’analisi ancillare dove il target era il raggiungimento di una PA normale (cioè<140/90 mmHg) la differenza a favore del gruppo attivo fu statisticamente significativa. A favore dell’efficacia del Rheos va anche sottolineato il fatto che l’effetto antipertensivo della stimolazione elettrica tende ad aumentare nel tempo: la riduzione pressoria risultò infatti decisamente migliore a 12 mesi (-35 + 28 mmHg) rispetto a quella ottenuta a 6 mesi (-26  + 30 mmHg), nel gruppo con lo strumento sempre attivo,  e questo dato, se venisse  confermato da altri studi, sarebbe di grande interesse.



Figura 28 di 42.

Lo studio deve far riflettere sulla potenza degli effetti placebo ed Hawthorne, che la messa in situ di un congegno può comportare. Per avere un idea di tale effetto basta pensare che un mese dopo l’applicazione, ad apparecchio ancora spento in ambedue i gruppi, la PAS si era ridotta in media di 10 mmHg nel gruppo A e di 8 mmHg nel gruppo B. Inoltre dopo 6 mesi, nel gruppo B, ad apparecchio sempre spento, si era ridotta, in media, di altri 9 mmHg, con una riduzione media complessiva (ad apparecchio spento) di 17 mmHg.

Gli Autori dello studio cercano di spiegare tale effetto con le manipolazione farmacologiche alle quali questi pazienti sono comunque sottoposti (ai medici curanti era permesso di cambiare la terapia farmacologica durante lo studio) e al fatto che le rilevazione pressorie venivano fatte a tempi variabili rispetto all’assunzione dei farmaci. Tuttavia tali spiegazioni appaiono nel complesso poco convincenti.



Figura 29 di 42.

Le complicanze

La messa in situ del device richiede un intervento chirurgico, in anestesia generale, della durata di circa 200 minuti. Le complicanze principali riportate sono:  un 4.8 % di complicanze chirurgiche, un 2.6% di  infezioni nella sede del posizionamento degli elettrodi o dello stimolatore, che hanno portato in alcuni casi alla rimozione del device, un 4.8% di lesioni permanenti dei nervi del collo in particolare dell’ipoglosso, con alterazioni della sensibilità e difficoltà nella deglutizione, un 4.4% di lesioni temporanee dei nervi cranici, ed un 2.6 % di complicanze respiratorie (forse per alterazioni dei chemocettori carotidei).



Figura 30 di 42.

La simpaticectomia renale.

La splancnicectomia e la simpaticectomia radicale erano, negli anni ’50, gli unici strumenti a disposizione del medico,  per trattare le ipertensioni severe o maligne che mettevano a rischio la vita dei pazienti. Le tecniche proposte differivano per la sede ed il numero dei gangli simpatici eliminati ma i risultati migliori furono quelli ottenuti da Grimson [Grimson KS -1941] e da Maitland [Maitland AI - 1950], con una percentuale di successi del 76% . Questi Autori intervenivano direttamente sui gangli da cui partivano le fibre nervose che innervano i reni (vedi diapositiva). Tuttavia , come ricordato in precedenza queste tecniche erano gravate da un tasso elevato di complicanze peri-procedurali e da notevoli effetti collaterali.



Figura 31 di 42.

La importanza dei nervi renali sul controllo pressorio è suggerita da una notevole quantità di studi sperimentali. In particolare i nervi efferenti, se attivati,  sono in grado di stimolare la secrezione di renina, di aumentare il riassorbimento tubulare di sodio e di indurre vasocostrizione [DiBona GF - 2005] .La diapositiva mostra le fibre nervose efferenti che si distribuiscono all’apparato iuxta-glomerulare (JGGC) al tubulo renale (T) ed ai vasi pre-renali (V). La stimolazione di tali nervi induce: aumento della secrezione reninica (RSR) per stimolo del recettore beta1 (1-AR), riduzione dell’escrezione sodica (UNaV) per stimolazione del recettore alfa-1B (1B-AR) e riduzione flusso plasmatico renale (RBF) per stimolazione del recettore alfa-1A (1A-AR).



Figura 32 di 42.

Da sottolineare che tali funzioni si esplicano a differenti livelli di frequenza : per basse frequenze viene stimolata la secrezione reninica, per frequenze medie il riassorbimento sodico e per frequenze elevate si ha la riduzione del flusso plasmatico renale.

 Questo significa che i nervi efferenti sono in grado di regolare l’escrezione sodica e quindi i valori pressori anche in assenza di variazioni dell’emodinamica renale. Le tecniche sperimentali di denervazione più usate sono state la sezione dell’arteria renale con successiva rianastomosi e lo stripping dei nervi nell’avventizia con applicazione locale di fenolo.  La denervazione è stata usata come strategia terapeutica in molte specie animali (roditori, cane, maiale, pecora) ed in diversi modelli sperimentali di ipertensione (ipertensione genetica, salt-sensitive, ipertensione obesità-correlata, ipertensione renovascolare) ma anche di scompenso cardiaco e di insufficienza renale [Villareal D - 1994, DiBona GF - 2005, Schlaich MP - 2011].



Figura 33 di 42.

La possibilità di usare la denervazione come strumento per abbassare la PA in clinica viene ora riproposta con la comparsa di un catetere in grado di effettuare la denervazione renale mediante l’emissione di particolari impulsi. Le peculiari caratteristiche dell’innervazione renale favoriscono questo approccio . I nervi sono disposti come un reticolo di fibre nell’avventizia, quindi in stretta prossimità con il lume e sono sensibili all’energia emessa con radiofrequenze. La manovre viene di solito preceduta da un’angiografia che serve ad escludere stenosi, duplicità delle arterie, ed altre anomalie.

Il catetere viene introdotto per via trans-femorale e alla sua punta è posizionato un elettrodo che viene posizionato sotto controllo fluoroscopio a stretto contatto con la parete del vaso. Vengono applicati fasci di radiofrequente della durata di 2 minuti , per un totale di 6 applicazioni , che vengono effettuate spostando longitudinalmente ed in senso rotazionale la punta. La temperatura che la punta del catetere raggiunge è costantemente monitorata  e l’emissione di energia è strettamente regolata da un algoritmo [Krum H - 2009].

Nelle prime prove sull’uomo veniva denervato un rene per volta , con un mese di intervallo per evidenziare eventuali lesioni post-manovra. In seguito , constata la sostanziale assenza di complicanze a carico dell’arteria trattata, la denervazione di entrambi i reni venne eseguita nella stessa seduta.



Figura 34 di 42.

Il primo studio nell’uomo [Krum H - 2009] è stato uno studio in aperto su 45 ipertesi resistenti alla terapia, volto a valutare la efficacia e la sicurezza dell’intervento. I soggetti trattati avevano una PA media di 177/101 + 20/15 nonostante l’assunzione in media di 4.7+1.5 farmaci antipertensivi. La manovra fu seguita da una riduzione pressoria media dopo un mese di -14/10 + 4/3 . Un ulteriore riduzione si ebbe nel follow up e dopo 12 mesi la riduzione fu pari a -27/17+16/11. La manovra durò in media 38 minuti, provocò dolore viscerale, in alcuni casi intenso, che richiese l’applicazione di sedativi e narcotici.  Poche le complicanze: tre pseudo aneurismi in sede di puntura femorale e la dissezione di un’arteria renale trattata con applicazione di stent.



Figura 35 di 42.

Lo stesso gruppo di Autori,  nello stesso anno, in una lettera al New England [Schlaich MP - 2009] descrisse gli effetti dell’intervento sul sistema autonomo. In un paziente di 59 anni , iperteso nonostante l’assunzione di 7 differenti farmaci. La manovra ebbe un notevole effetto antipertensivo (da 161/107 basale a 141/90 dopo un mese a 127/81 dopo un anno). La diapositiva evidenzia che l’attività simpatica diretta ai muscoli, studiata mediante microneurografia del nervo peroneo, si riduce dopo denervazione, segno che anche le fibre afferenti sono interessate dalla denervazione.

In questo paziente gli Autori furono in grado di documentare, con una tecnica sensibile di  diluzione del radioisotopo, che la liberazione di noradrenalina a livello renale, tre volte più alta del normale prima dell’intervento, si ridusse nettamente con la denervazione (la riduzione fu pari al 48% nel rene sinistro e 75% nel rene destro). La riduzione dell’attività simpatica sistemica fu documentata dimostrando una riduzione del 42% della liberazione total body di noradrenalina. Fu infine documentata un miglioramento funzionale dei barocettori carotidei.



Figura 36 di 42.

Il secondo studio è uno studio randomizzato, ma non in cieco, su 106 pazienti [Esler MD - 2010]. I criteri di arruolamento furono i soliti : pressione incontrollata (PAS > 160 o PAS >150 nei diabetici) nonostante l’uso di almeno tre farmaci ed assenza di anomalie delle arterie renali. Esclusi i pazienti con insufficienza renale moderata-severa (VFG<45 ml/min). I soggetti arruolati vennero randomizzati 1:1 al trattamento o a continuare con la terapia medica. Il protocollo prevedeva che la terapia restasse invariata , ma erano permessi interventi in caso di emergenze ipertensive.



Figura 37 di 42.

La diapositiva mostra le variazioni della PAS (SBP) e della PAD (DBP) dopo denervazione a 1,3,6 mesi dopo la manovra. Colonne celesti: gruppo attivo, colonne azzurre: gruppo di controllo.

Dopo 6 mesi dall’intervento la PA si ridusse sensibilmente nel gruppo trattato (da 178/96 a 147/84 ,p<0.001) e rimase invariata nel gruppo di controllo (178/97 a 179/96, p=0.77). Riduzioni significative ma di entità minore si ebbero per quanto riguardava la PA domiciliare (- 20/12  + 17/11) solo nel gruppo trattato.



Figura 38 di 42.

La diapositiva mostra la percentuale dei soggetti nei quali la PAS (SBP) non cambia (colonne a sinistra), si riduce di almeno 10 mmHg (colonne centrali), o si normalizza (<140 mmHg) (colonne a destra), dopo 6 mesi di follow up. Colonne celesti: gruppo attivo, colonne azzurre: gruppo di controllo.

Il 39% dei soggetti raggiunse una PA normale nel gruppo trattato contro il 3% nel gruppo di controllo. Inoltre il 20% dei soggetti trattati poté ridurre i farmaci durante il follow up. Si ebbe infine una sensibile riduzione della massa ventricolare sinistra nel gruppo trattato (da 184 a 169 g). Tuttavia l’8% dei pazienti trattati ed un 12% dei soggetti nel gruppo di controllo dovettero aumentare la terapia farmacologica. Anche in questo studio le complicanze sono state modeste; uno pseudo aneurisma dell’arteria femorale trattato con la normale compressione, parestesie che richiesero un prolungamento dell’ospedalizzazione, ed un caso di dolore al fianco, trattato con analgesici,  che perdurò per circa un mese. Durante la manovra si ebbe il solito dolore viscerale trattato con narcotici e sette casi di bradicardia trattati con atropina.



Figura 39 di 42.

Di particolare interesse, in prospettiva, sono gli effetti della denervazione sul metabolismo glicidico. Uno studio satellite [Mahfoud F - 2011]  su un sottogruppo di sogetti sottoposti a denervazione ha mostrato nei soggetti trattati. La diapositiva mostra le variazioni della glicemia a digiuno (A), dell’insulinemia a digiuno (B) del peptide C (C) e della resistenza all’insulina, valutata con l’homeostasis model assessment (HOMA-IR; D) ad 1 e 3 mesi dopo la manovra, comparati con I valori basali. Sono evidenti nei soggetti trattati la riduzione della glicemia a digiuno, associata ad una riduzione dei livelli di insulina e di C-peptide, tutti segni che dimostranoo un netto miglioramento della sensibilità all’insulina.



Figura 40 di 42.

Recentemente sono stati pubblicati i risultati relativi a  pazienti trattati con denervazione renale e seguiti per 2 anni [Symplicity HTN-1 Investigators, 2010]  Questo studio conferma che i risultati perdurano per 2 anni, escludendo quindi una eventuale ricrescita dei nervi distrutti con la manovra. Va anzi sottolineato una ulteriore riduzione della pressione sistolica a due anni. La diapositiva mostra: in A, le variazioni medie  della pressioni sistolica e diastolica a 24 mesi in tutta la popolazione, in. B, le variazioni medie  della pressioni sistolica e diastolica a 24 mesi con l’esclusione dei pazienti nei quali si è avuto un incremento della terapia antipertensiva, in C, le variazioni medie  della pressioni sistolica e diastolica nei 18 pazienti che hanno completato i  24 mesi di follow up. In tali 18 pazienti i valori basali della PA erano pari a 173/97+/-18/16 mm Hg.

 Va invece considerata con una certa preoccupazione la segnalazione di una riduzione importante   (-16 mL/min/1.73 mq.), del VFG stimato, nei 10 soggetti nei quali tale dato era disponibile a 2 anni. In 5 di essi tuttavia erano stati aggiunti nel corso del follow up diuretici o antialdosteronici..



Figura 41 di 42.

Il “sensazionalismo” della stampa laica è in agguato

Da un punto di vista teorico le due manovre aprono orizzonti di estremo interesse per il futuro non solo dei pazienti ipertesi ma anche dei soggetti con cardiopatia ischemica, con scompenso cardiaco, con insufficienza renale. Dati sperimentali hanno infatti dimostrato vantaggi in tutte queste situazioni [Villarreal D - 1994, DiBona GF - 2005]

E più difficile definire il ruolo che esse possono avere nell’attuale pratica clinica. Abbiamo infatti solo due trial randomizzati (uno per manovra), di piccole dimensioni, con un follow up limitato e senza end points hard. E’ tuttavia importante, per la classe medica, definire rapidamente il loro ruolo anche per orientare i pazienti che potrebbero essere confusi da un certo “sensazionalismo” suscitato dall’annuncio delle nouve terapie sulla stampa laica.



Figura 42 di 42.

Confronto tra le due tecniche e considerazioni finali

Cerco pertanto di riassumere brevemente quanto è emerso dai primi studi disponibili. La denervazione renale comporta una tecnica molto meno invasiva, non richiede anestesia generale, non richiede ospedalizzazione prolungata, è soggetta a minori complicanze severe e/o permanenti, non implica, infine, la messa in situ a permanenza di un corpo estraneo. La denervazione renale sembra essere altrettanto efficace della stimolazione dei nervi carotidei nell’abbassare la PA e va considerato che l’unico trial effettuato è stato positivo per la denervazione renale ma parzialmente negativo per la stimolazione carotidea.

Va tuttavia detto che il trial carotideo è stato condotto più rigorosamente dal punto di vista scientifico; prevedeva infatti il doppio cieco e l’intervento “sham”, mentre il trial renale non era in cieco e non aveva previsto  l’intervento “sham”. Lo  studio con la denervazione è quindi soggetto ai bias potenziali dell’effetto placebo e soprattutto dell’effetto Hawthorne. Detto questo, va  considerata la dubbia eticità di un intervento sham in questo contesto, e d’altronde studi similari come l’ASTRAL [The ASTRAL Investigators 2009], effettuato con gli stessi criteri (rivascolarizzazione più terapia medica  per il gruppo trattato, solo terapia medica per il gruppo di controllo) ci dicono che quando l’intervento non è efficace,  lo si può verificare anche con questo tipo di protocollo.

Si potrebbe tuttavia obiettare che, a differenza dell’impianto del Rheos,  la denervazione è una manovra irreversibile e che eventuali inconvenienti clinici ad essa ascrivibili, sarebbero irreparabili. Tuttavia sotto questo aspetto è molto tranquillizzante l’esperienza acquisita con i reni trapiantati che vengono inevitabilmente denervati al momento del loro espianto. Questo ci rende ragionevolmente sicuri che la presenza di un rene denervato è compatibile, nel lungo termine, con una buona funzione dell’organo e con l’assenza di problemi per l’organismo. Non sappiamo viceversa nulla sugli effetti a lungo termine di una stimolazione elettrica delle vie nervose che afferiscono ai centri superiori, quale quella praticata con il Rheos.

Tuttavia anche la denervazione renale resta una manovra invasiva e comporta il rischio di complicanze peri e post-procedurali. E’ quindi opportuno che i soggetti che devono essere sottoposti a questa manovra siano rigorosamente selezionati. Vedi Figura 9

Prima di concludere vorrei ricordare che la risposta antipertensiva alla due manovre non ha interessato la totalità dei soggetti trattati, ed è utile ricordare a tal proposito che anche  la risposta positiva alla  simpaticectomia chirurgica, praticata molti decenni fa, si aggirava sul 50% dei casi. Questo imporrà ai ricercatori ed ai clinici ogni sforzo per identificare a priori i soggetti suscettibili di rispondere al trattamento.



Parole chiave: Ipertensione resistente

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