Intestazione
Prima di affrontare la domanda posta nel titolo di questa presentazione, ovvero quale sia la relativa l’importanza della valutazione del filtrato glomerulare e dell’albuminuria per la prognosi e la stratificazione del rischio in un paziente con ipertensione arteriosa, occorre considerare brevemente i motivi che rendono utile ed indicato il processo stesso di valutazione del rischio. Alcuni di questi sono ormai ampiamente accettati dalla letteratura (ad esempio il miglior rapporto costo/beneficio di un trattamento aggressivo nel sottogruppo di pazienti ad elevato rischio globale, indicato da un minor numero di pazienti da sottoporre a trattamento al fine di prevenire un evento). Altri, come l’utilizzo preferenziale di alcune classi farmacologiche (ad es. inibitori del sistema renina angiotensina aldosterone) sono ancora oggetto di discussione.
Per comprendere i meccanismi fisiopatologici alla base di un approccio terapeutico basato sul profilo di rischio del singolo paziente può essere utile ripercorrere –secondo il classico schema di Devereux e Alderman- le tappe che portano dall’esposizione ai vari fattori di rischio fino allo sviluppo di eventi cerebro e cardiovascolari. Lo schema evidenzia il ruolo chiave del danno d’organo subclinico come momento che precede (spesso anche di molti anni) l’insorgenza di una complicanza clinicamente manifesta. L’identificazione dei pazienti con danno d’organo subclinico consente di attuare interventi terapeutici più aggressivi ed efficaci nel sotto gruppo di pazienti a rischio più elevato. [Devereux RB -1993]
Le Linee Guida Europee (ESH-ESC) per il trattamento dell’ipertensione arteriosa sottolineano l’importanza della valutazione del profilo di rischio globale come guida al trattamento. I valori di pressione arteriosa per i quali il rapporto rischio-beneficio del trattamemento antipertensivo è favorevole variano a seconda del rischio globale del paziente (soglia flessibile). [Comitato per la stesura delle linee guida dell’ESH ESC 2007]
La valutazione sistematica del danno d’organo subclinico con metodi sensibili (ecografia cardiovascolare) consente una più accurata stadiazione del rischio nei pazienti ipertesi. Una significativa percentuale di pazienti viene infatti riclassificata (ad uno stadio più elevato) dopo l’esecuzione sistematica di un ecocardiogramma ed una ecografia delle carotidi. [Cuspidi C - 2002]
E’ stato peraltro dimostrato che il numero dei test impiegati nella stadiazione è direttamente proporzionale al rischio globale risultante da essi. In altre parole, maggiore il numero di esami cui il paziente viene sottoposto, maggiori le probabilità che siano evidenziate alterazioni (ad es. ipertrofia ventricolare sinistra, aterosclerosi asintomatica, anomalie urinarie come microalbuminuria e/o riduzione del filtrato glomerulare) che comportano un aumento del profilo globale di rischio del paziente. [Viazzi F. - 2004]
Purtroppo, anche in considerazione dell’elevata prevalenza dell’ipertensione arteriosa nella popolazione, non è possibile per motivi logistici ed economici, sottoporre tutti i pazienti ad una stratificazione estesa del rischio cardiovascolare. [Wolf-Maier K - 2003] Si rende pertanto necessario, oltreché assai utile nella pratica clinica, semplificare e “ottimizzare” il processo diagnostico di valutazione del rischio cardiovascolare globale del paziente. A questo proposito diventa di vitale importanza conoscere ed utilizzare il potenziale prognostico e diagnostico della presenza di alterazioni della funzione renale. Spesso ci si riferisce a questo concetto affermando che ”Il rene è un accurato sensore del rischio cardiovascolare”.
Il legame tra malattia renale cronica e patologia cardiovascolare è particolarmente evidente quando il paziente raggiunge la fase dell’insufficienza renale terminale. Il rischio di morte per cause cardiovascolari per ogni fascia di età è nettamente aumentato nella popolazione in dialisi rispetto alla popolazione generale non uremica. Come si può dedurre da questa diapositiva, che è ormai divenuta un’icona della cardionefrologia, la forbice è particolarmente netta per le fasce di età più giovani, per cui un dializzato di circa 30 anni ha le stesse probabilità di morire per cause CV di un soggetto con normale funzione renale di oltre 75 anni di età. [Foley RN - 1998]
Più recentemente è stato documentato che anche la presenza di alterazioni renale lievi comporta già un significativo aumento del rischio cardiovascolare. [Mann JF - 2001]
Un dato epidemiologicamente assai rilevante è il fatto che i pazienti con insufficienza renale cronica, anche nelle fasi iniziali, hanno una probabilità di morire per cause cardiovascolari assai più elevata rispetto a quella di raggiungere lo stadio di insufficienza renale terminale e pertanto la necessità di iniziare il trattamento sostitutivo della funzionalità renale. [Keith DS - 2004]
La stima del filtrato glomerulare e la determinazione dell’albuminuria sono i due elementi chiave nella valutazione del rischio cardiovascolare nel paziente iperteso. Essi hanno numerosi vantaggi pratici rispetto ad altri test, primi fra tutti la semplicità di esecuzione (che garantisce una migliore compliance da parte del paziente ed un costo assai contenuto) e di interpretazione.
Esaminiamo dapprima le evidenze a favore di un impiego sistematico dell’albuminuria nella stratificazione del rischio cardiovascolare globale di un paziente. Tra le varie metodiche per la raccolta e la determinazione della microalbuminuria, la misura del rapporto albumina/creatinina (ACR) su campioni urinari del mattino al risveglio è preferibile per accuratezza e riproducibilità e per la sua notevole praticità. La sensibilità del test è favorita dal fatto che le urine del primo mattino sono le più concentrate della giornata; la riproducibilità dalla stabilità delle condizioni emodinamiche notturne.
La microalbuminuria è un marcatore integrato di danno d’organo nell’ipertensione. In questa casistica di pazienti con ipertensione essenziale i valori di albuminuria (quartili) correlano con lo spessore mediointimale delle carotidi. [Pontremoli R - 1999]
Anche le alterazioni cardiache (massa ventricolare sinistra , in alto e prevalenza di ipertrofia ventricolare sinistra, in basso) sono correlate all’entità dell’albuminuria nell’ipertensione essenziale. [Leoncini G - 2009]
In particolare l’ipertrofia concentrica è l’alterazione di più frequente riscontro nei pazienti con ipertensione e microalbuminuria. [Pontremoli R -1999]
Uno studio clinico recentemente pubblicato ha evidenziato come la quota di ipertrofia ventricolare sinistra non ascrivibile all’aumentato carico emodinamico (cosiddetta ipertrofia inappropriata) correla con l’entità dell’albuminuria. E’ verosimile che entrambe siano in parte riconducibili a meccanismi patogenetici ed a fattori di rischio misconosciuti o sottovalutati, quali l’attività del sistema renina angiotensina aldosterone. [Ratto E - 2008]
Una recente metanalisi ha confermato il significato prognostico indipendente dell’albuminuria (in questo caso rapporto albumina/creatinina) nella popolazione generale. [Chronic Kidney Disease Consortium - 2010]
Nello studio LIFE, l’entità dell’albuminuria in condizioni basali (decili di ACR) correlava in modo lineare con il rischio di sviluppare un evento cardiovascolare nel corso dello studio. Questa relazione è di tipo continuo e si mantiene ben al di sotto dei valori attualmente usati per identificare la presenza di microalbuminuria. [Wachtell K - 2003]
Nello studio MAGIC, in una casistica di pazienti con ipertensione essenziale non diabetici, la presenza di microalbuminuria al basale si associava in modo indipendente ad una maggiore incidenza di eventi cerebro e cardiovascolari. [Viazzi F - 2010]
Anche valori di albuminuria al di sotto dei classici limiti indicati per la “microalbuminuria” si sono rivelati in grado di fornire importanti informazioni prognostiche. Sulla scorta di questi risultati, gli autori del Copenhagen City Heart Study hanno proposto di rivedere i valori di riferimento per la classificazione di microalbuminuria. [Klausen KP - 2005]
Avvalendosi dei comuni parametri clinici ed ematochimici e dell’albuminuria è possibile, con l’utilizzo di un particolare algoritmo statistico (Reti Neurali Artificiali), prevedere con accuratezza la presenza di danno d’organo e, conseguentemente, la classe di rischio del singolo paziente. L’impiego sistematico della microalbuminuria come test di screening nella diagnostica del paziente con ipertensione arteriosa potrebbe consentire una elevata sensibilità nell’identificazione dei pazienti a rischio permettendo di limitare i costi. [Leoncini G. - 2002]
Tuttavia, questi concetti sono ancora troppo spesso trascurati dai clinici. E’ stato recentemente completato un sondaggio, sotto l’egida della Società Europea del’Ipertensione arteriosa, per verificare le abitudini prescrittive di vari specialisti e dei medici di medicina generale, nella valutazione del rischio globale del paziente con ipertensione arteriosa. [Haller H - 2010]
Solo il 22–36% dei medici intervistati valuta sistematicamente i propri pazienti circa la presenza di albuminuria. [Haller H - 2010]
Per lo più la presenza di microalbuminuria viene percepita dai medici intervistati come indicativa di danno renale e non cardiovascolare. [Haller H - 2010]
Analizziamo ora in maggior dettaglio il ruolo e l’utilità della valutazione del filtrato glomerulare al fine di valutare il rischio cardiovascolare del paziente. Esistono varie formule per la stima del filtrato glomerulare. La più accurata quella CKD EPI. [Levey AS - 2009]
I valori d filtrato glomerulare sono inversamente proporzionali al rischio di sviluppare un evento cardiovascolare nella popolazione generale. [Go AS - 2004]
Nello studio ALLHAT, condotto su oltre 30 000 pazienti con ipertensione arteriosa una riduzione anche lieve del filtrato glomerulare comportava un rischio relativo aumentato di sviluppare un evento cardiovascolare. Sebbene questo eccesso di rischio fosse inferiore a quello di raggiungere l’insufficienza renale terminale, la maggior frequenza complessiva di eventi cardio e cerebrovascolari rendeva il numero di questi ultimi molto più elevato. [Rahman M - 2006]
Anche il filtrato glomerulare, cosi come la microalbuminuria, è un marcatore “integrato” di danno d’organo subclinico. In questo studio condotto su pazienti con ipertensione essenziale non trattata i valori di filtrato glomerulare sono risultati inversamente proporzionali a quelli di massa ventricolare sinistra. [Leoncini G - 2009]
Il filtrato glomerulare si è rivelato un potente ed indipendente predittore di mortalità per cardiopatia ischemica a lungo termine in questa coorte di pazienti con ipertensione. [Hailpern S - 2005]
Analogamente a quanto precedentemente evidenziato per l’albuminuria, avvalendosi della stima del FG e dei parametri clinici è possibile, con l’aiuto di delle Reti Neurali Artificiali, prevedere con accuratezza la presenza di danno d’organo e, conseguentemente, la classe di rischio del singolo paziente. Anche il FG, cosi come l’albuminuria, dovrebbe dunque essere sempre incluso nella batteria di test diagnostici cui i pazienti con ipertensione arteriosa vengono sottoposti. Questo potrebbe consentire una elevata sensibilità nell’identificazione dei pazienti a rischio permettendo di limitare i costi. [Viazzi F - 2006]
Analizzeremo ora il potenziale diagnostico e prognostico della valutazione combinata dei due parametri renali oggetto di quest atrattazione (albuminuria e FG). E’ interessante notare come la prevalenza di disfunzione renale (microalbuminuria o riduzione del GFR) aumenti in presenza di danno d’organo cardiovascolare. [Leoncini G - 2003]
Una alterazione anche lieve de parametri renali suddetti si associa a danno d’organo subclinico polidistrettuale, in questo caso a livello cardiaco e vascolare. [Leoncini G - 2004]
Nello studio I-DEMAND, condotto su oltre 3000 pazienti con ipertensione e vari gradi di disfunzione renale, la presenza di alterazioni elettrocardiografiche era correlata con la presenza di albuminuria e/o riduzione del filtrato glomerulare. [Sciarretta S - 2009]
Anche la riserva coronarica, intesa come capacità di aumentare la perfusione miocardica in risposta ad un stimolo di vasodilatazione, è ridotta in presenza di malattia renale cronica lieve nei pazienti con ipertensione arteriosa. [Bezante GP - 2009]
Nello studio osservazionale MAGIC (Microalbuminuria: a Genoa Investigation on Complications) su oltre 800 pazienti con ipertensione essenziale, una lieve riduzione del filtrato glomerulare o un lieve aumento dell’albuminuria al basale, comportavano nel corso di oltre 10 anni di follow-up, un significativo incremento dell’incidenza di eventi cardiovascolari e renali. [Viazzi F - 2010]
Lo studio di Gubbio ha dimostrato, nella popolazione generale, che il valore prognostico sfavorevole di albuminuria e filtrato glomerulare è additivo. I soggetti con alterazione in entrambi i parametri hanno una prognosi più sfavorevole rispetto a coloro che hanno una sola alterazione o nessuna. [Cirillo M - 2008]
La recente metanalisi effettuata dal “” ha confermato su larga scala il valore prognostico sfavorevole per mortalità generale e cardiovascolare di un aumento anche modesto dell’albuminuria o di una riduzione di GFR. L’albuminuria sembra essere un predittore di rischio più sensibile. [Consorzio CKD Prognosis - 2010]
Nel commento editoriale di accompagnamento a questa pubblicazione si sottolinea l’importanza di utilizzare sistematicamente i due parametri renali per valutare il rischio cardiovascolare dei pazienti, e più in generale il loro stato di salute. E’ auspicabile che presto si rendano disponibili calcolatori del rischio che utilizzino anche albuminuria e GFR tra le variabili determinanti. [Leoncini G - 2010]
Nello studio NORDIC è stato dimostrato che albuminuria e GFR hanno un valore additivo nei confronti del rischio cardiovascolare. [Farbom P - 2008]
Analoghi risultati sono stati ottenuti, su più ampia casistica, nello studio ADVANCE condotto su pazienti con ipertensione e diabete di tipo 2. [Ninomiya T - 2009]
Infine, sono stati recentemente pubblicati i risultati della revisione della letteratura da parte delle “KDIGO” relativamente ai sottogruppi di pazienti a “rischio”. Essi confermano il ruolo prognostico additivo di albuminuria e FG. [Levey AS - 2011]
Questa tabella evidenzia come il rischio relativo di eventi cardiovascolari aumenti al decrescere del filtrato glomerulare e all’aumentare dell’albuminuria. Ancora una volta l’albuminuria si dimostra un predittore più sensibile del rischio rispetto al GFR. [Levey AS - 2011]
Nei pazienti con ipertensione essenziale, le alterazioni del filtrato glomerulare e la presenza di albuminuria non si associano frequentemente. L’utilizzo combinato di questi due test consente di aumentare considerevolmente il potere predittivo della diagnostica. [Leoncini G - 2008]
In questa tabella vengono riportati significato prognostico, fattibilità ed impatto economico di alcuni marcatori di danno d’organo secondo le Linee Guida ESH-ESC 2007. La valutazione del danno d’organo renale, ovvero la stima del filtrato glomerulare e la valutazione dell’escrezione urinaria di albumina, rappresenta un ottimo compromesso tra il contenimento dei costi, la pronta disponibilità ed significato prognostico a lungo termine. [Comitato per la stesura delle linee guida dell’ESH ESC 2007]
Sulla base di quanto sopra illustrato è stato proposto un algoritmo diagnostico, applicabile su vasta scala, che minimizza i costi sanitari della fase diagnostica e incrementa la probabilità di identificare correttamente tutti i pazienti ad alto rischio cardiovascolare. [Leoncini G - 2008]
Questo algoritmo, applicato in clinica, ha consentito di migliorare il rapporto costo efficacia nella diagnosi del rischio cardiovascolare in pazienti con ipertensione arteriosa. [Leoncini G - 2008]
In uno studio trasversale la microalbuminuria si è rivelata più utile del filtrato glomerulare per identificare i pazienti con danno cardiaco. [Leoncini G - 2009].
Nello studio LIFE le variazioni di albuminuria in corso di trattamento antipertensivo sono state consensuali alle variazioni di rischio di eventi cardiovascolari. [Ibsen H - 2005]
Anche nello studio BENEDICT, in pazienti con DM tipo 2, la regressione allo stato di normoalbuminuria si accompagnava ad una minor incidenza di eventi cardiovascolari a parità di controllo pressorio [Ruggenenti P - 2011].
Recentissimamente l‘analisi dello studio ONTARGET su oltre 23000 pazienti ad alto rischio vascolare ha confermato che le variazioni di albuminuria in corso di terapia sono predittive, in modo indipendente, di prognosi cardiovascolare e renale. [Schmieder R - 2011]
La metanalisi degli studi Renaal e IDNT ha consentito di dimostrare che anche nei pazienti con nefropatia diabetica conclamata, le variazioni di albuminuria a sei mesi (pannello di destra), analogamente a quelle di pressione arteriosa (pannello di sinistra), sono predittive di prognosi cardiovascolare. [Holtkamp F - 2011]
E’ noto che il controllo ottimale della pressione arteriosa mediante farmaci antipertensivi, in particolare quelli che inibiscono il sistema renina angiotensina aldosterone, è in grado di ridurre la proteinuria e salvaguardare la funzione renale nei pazienti a rischio. I risultati di questa metanalisi mostrano come, per ogni riduzione di pressione arteriosa, i farmaci inibitori del SRAA (in questo caso ACE-I) comportino una maggiore riduzione della proteinuria. (Weidmann P - 1995)
Più recentemente la messa a punto di una nuova classe di farmaci attivi sul SRAA, (gli inibitori diretti della renina, DRI) ha rilanciato tra i clinici la speranza di ottenere un maggiore effetto di nefroprotezione attraverso una più completa e profonda inibizione degli effetti sfavorevoli dell’angiotensina II. Rispetto alle tradizionali terapie che inibiscono il sitema renina-angiotensina, aliskiren, il capostipite di questa nuova classe, agisce inibendo direttamente la renina, l'enzima responsabile della cascata di eventi mediati dal sistema renina-angiotensina. Pertanto aliskiren previene a monte l'iperattivazione del sistema renina-angiotensina, anziché ridurne parzialmente le conseguenze, e può assicurare cosi sia un efficace controllo a lungo termine dei valori pressori sia un'azione preventiva specifica sullo sviluppo del danno d'organo. L'azione protettiva di aliskiren rispetto al danno d'organo appare strettamente correlata al suo meccanismo d'azione: l'inibizione diretta della renina impedisce la generazione di questo enzima a livello dei tessuti che non essendo in grado di produrlo autonomamente, non subiscono l'attivazione locale del sistema ad opera della renina stessa, e quindi risultano maggiormente protetti.Gli effetti di nefroprotezione di aliskiren sono stati formalmente valutati nel corso dello studio AVOID. Gli 805 pazienti ipertesi con nefropatia diabetica arruolati nello studio AVOID inizialmente hanno ricevuto una monoterapia con losartan 100 mg una volta al giorno per 12–14 settimane, con aggiunta opzionale di altri antiipertensivi, qualora fosse ritenuto necessario, con l'obiettivo di raggiungere valori pressori ottimali, ossia <130/80 mmHg. Dopo questo periodo di 12–14 settimane, 206 pazienti sono stati esclusi e 599 sono stati randomizzati a ricevere aliskiren 150 mg o placebo una volta al giorno, in aggiunta a losartan 100 mg ed alla terapia antiipertensiva ottimizzata. Dopo 12 settimane, la titolazione del dosaggio di aliskiren è stata forzata da 150 a 300 mg per altre 12 settimane. Al termine delle 24 settimane il trattamento con aliskiren ha ridotto l’escrezione urinaria di albumna del 18% rispetto al placebo (IC 95%, 5-30, P=0.009). Durante lo studio i valori pressori sono risultati controllati in maniera analoga nei due gruppi di trattamento e anche correggendo per le variazioni di pressione arteriosa ottenute la riduzione rimaneva statisticamente significativa a favore di aliskiren (17%, IC 95% 4-29, P=0.02). Ciò autorizza a ritenere che le differenze osservate non siano ricollegabili ad una differente azione antipertensiva. (Parving HH - 2008)
L’outcome primario dello studio AVOID era rappresentato da una riduzione nel rapporto albuminurina/creatininuria (UACR) (misurato in un campione di urina raccolta del primo mattino) a 6 mesi. Al termine la riduzione di tale rapporto è risultato significativamente superiore nel gruppo trattato con aliskiren rispetto al gruppo placebo, con una diminuzione pari a circa il 20% (P<0.001). Correggendo per i valori pressori ottenuti, la riduzione rimneva del 18% (IC 95% 7-28, P=0.002). (Parving HH - 2008)
Conclusioni
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