Login



FAD Discussioni nefrologiche – La FAD della SIN 2015


Hot topics nel trapianto renale

Eculizumab e le nuove opportunità nel trapianto

release pubblicata il  11 marzo 2015 
da Silvio Sandrini

Figura 1 di 24.



Figura 2 di 24.

La diapositiva riporta il titolo di un articolo pubblicato alla fine del  2008 che descrive  il primo caso clinico sulll’uso di Eculizumab per la terapia del rigetto umorale acuto dopo trapianto di rene



Figura 3 di 24.

la diapositiva riassume il caso clinico: si riferisce ad un ragazzo sottoposto ad un  secondo trapianto di rene, da donatrice vivente, ma con anticorpi anti HLA della donatrice (DSA) preformati, cioè presenti già prima del trapianto. Per questo il paziente fu dapprima sottoposto ad un protocollo di desensibilizzazione che permise di ridurre il titolo anticorpale, di rendere il cross-match negativo e di arrivare quindi al  trapianto. Tuttavia, già in 8a giornata, dopo una iniziale ripresa funzionale dell’organo, fu diagnosticato un rigetto acuto umorale, anurizzante.  Il ragazzo fu trattato con Eculizumab, in singola dose, associato a  Rituximab ed a molte sedute di plasmaferesi. La terapia permise di superare la crisi di rigetto ed il paziente fu dimesso con rene funzionante.



Figura 4 di 24.

Continua la descrizione del caso clinico: sebbene Eculizumab fosse stato utilizzato contemporaneamente  ad altri presidi terapeutici, in questo caso fu possibile documentare la sua azione specifica,  valutando la presenza, nel tessuto renale, del mediatore del danno vascolare complemento mediato, il C5b-9 o MAC. Infatti, mentre nella biopsia eseguita al momento della diagnosi di rigetto umorale, la colorazione immunoistochimica per il C5b-9 mostrò una positività intensa e granulare sui vasi e sulla membrana basale dei tubuli,  tre giorni dopo la terapia, la stessa ricerca, eseguita su una biopsia di controllo,  dette un risultato praticamente negativo, pur persistendo i  DSA in circolo . Questo dato rappresentò una prova convincente che Eculizumab  aveva agito bloccando l’attivazione del  C5 e quindi la formazione del MAC, favorendo così la guarigione del rigetto acuto.



Figura 5 di 24.

La diapositiva elenca alcuni aspetti relativi all’uso di Eculizumab per la terapia del rigetto acuto umorale, dal 2008 ad oggi.

In questi anni, l’impiego di Eculizumab per il trattamento del rigetto acuto umorale non ha avuto quello sviluppo che ci si poteva aspettare dalla sua efficacia terapeutica. A tutt'oggi, mancano studi clinici prospettici e randomizzati che ne abbiano valutato l’efficacia e la sicurezza.  In questi anni, sono stati riportati soprattutto casi clinici in cui il farmaco è stato utilizzato come “terapia di salvataggio”, spesso in associazione con altri farmaci antirigetto, rendendo più difficile chiarire il suo vero ruolo terapeutico.

Eculizumab  blocca il danno prodotto dagli anticorpi ma non la loro  produzione. Per questo è stato utilizzato in dosi variabili, per un periodo di tempo limitato, sempre in associazione con altri farmaci o procedure capaci di abbattere il titolo anticorpale. Infine, sebbene efficace in molti casi, in altri è risultato privo di beneficio. In questi casi si tratta di rigetti  umorali in cui il danno vascolare risulta essere  non complemento dipendente. 



Figura 6 di 24.

L’esperienza più significativa sull’uso di Eculizumab per il trattamento del rigetto acuto umorale è stata pubblicata nel 2014 dal gruppo di Montgomery. Si tratta di 24 casi di rigetto umorale acuto dopo trapianto  in pazienti con DSA preformati al trapianto. Tutti i pazienti ricevevano plasmaferesi e 21 pazienti anche Rituximab. L’aggiunta della sola splenectomia (14 pazienti) portava ad un successo nel 72% dei casi, l’aggiunta di solo Eculizumab (5 pazienti) portava  ad un successo in solo il  20% dei casi, e l’aggiunta di Eculizumab + splenectomia (5 pazienti) nel 100% dei casi. Secondo questa esperienza, Eculizumab da solo porterebbe pochi vantaggi, che risultano maggiori quando associato a una procedura in grado di ridurre la produzione di anticorpi, come la splenectomia.  Comunque , anche questa esperienza ha tutti i  limiti dei casi clinici rivisti retrospettivamente. Tuttavia documenta che molti rigetti umorali acuti possono risultare resistenti all’Eculizumab, confermando che il danno da anticorpi  può essere anche non complemento mediato. 



Figura 7 di 24.

Come altri farmaci oggi utilizzati in trapianto, tipo Rituximab, Bortezomib e Campath, anche Eculizumab è stato mutuato da un altro ambito terapeutico. Come mostra la diapositiva, Eculizumab è stato registrato nel 2007, dopo una fase di studio durata 10 anni, per la terapia della Emoglobinuria Parossistica Notturna e più recentemente è stato riconosciuto anche  per la terapia della Sindrome Emolitico Uremica atipica. Questo significa che quando utilizzato per altre patologie, tipo rigetto umorale, Eculizumab viene utilizzato con modalità «off-label», e questo rende difficile il suo impiego, anche per casi clinici complessi, a causa anche dell’alto costo del farmaco. 



Figura 8 di 24.

Eculizumab è un anticorpo monoclonale murino umanizzato con alta affinità  verso la frazione C5 del complemento. Non cross reagisce con altre molecole dell’organismo umano. Quando somministrato EV ha una emivita di 11±3 giorni e la sua distribuzione appare limitata al solo distretto vascolare. La concentrazione ematica raggiunge uno steady state dopo circa 57 giorni. L’attività farmacodinamica appare correlata alla concentrazione ematica ed il mantenimento di livelli ematici di 35 µg/ml risulta essenziale per il blocco completo del C5.

La molecola è il risultato di un complesso lavoro di ingegnerizzazione che l’ha resa, da un lato  poco immunogenica,  e quindi può essere utilizzata per lungo tempo senza il rischio di sviluppare autoanticorpi, dall’altro incapace ad interagire con altre molecole o attivare il complemento (la parte costante delle catene pesanti della Immunoglobulina contiene frazioni di  Ig2 e Ig4 umane incapaci di legare il complemento). Vedi diapositiva



Figura 9 di 24.

La diapositiva illustra le cascata di attivazione del sistema del complemento e la modalità di azione di Eculizumab. In breve, le tre vie di attivazione del complemento (via classica, alternativa e della lectina) portano, per vie diverse, alla sintesi di C5 convertasi che interagendo con C5, lo scinde in due frammenti: C5a e C5b. La scissione di C5 rappresenta l’ultima fase del processo di attivazione del complemento, diretto ad ottenere la lisi della cellula bersaglio, ma non solo. Il C5a  infatti non ha effetti citolitici ma è una potente anafilotossina coinvolta anche nel danno da ischemia e riperfusione. Il frammento C5b invece,  legandosi alla parete della cellula bersaglio, attiva sequenzialmente altre frazioni proteiche: C6-C7-C8-C9 a legarsi alla parete cellulare e formare il complesso effettore del danno cellulare (complesso C5b-9 o MAC).

Eculizumab legandosi al C5 impedisce l’azione della C5 convertasi e quindi tutte le fasi successive conseguenti  alla sua scissione: sintesi di C5a e formazione del complesso C5b-9. Ne deriva un blocco dell’azione citolesiva e pro-infiammatoria del complemento. Un aspetto importante dell’azione di Eculizumab, e da tenere ben presente,  è dato dal fatto che la prima fase di attivazione del complemento non viene interessata dal farmaco e quindi le difese immunitarie legate soprattutto all’azione di C3b rimangono integre. Questo spiega la mancanza di complicanze infettive associate al suo impiego.

Il complesso C5b-9 svolge però una azione importante nel neutralizzare un batterio Gram-, la Neisseria Meningitidis, dotato di un rivestimento resistente alle comuni difese immunitarie cellulo mediate. Il blocco del complemento aumenta quindi il rischio di meningite. Per questo motivo l’uso di Eculizumab richiede una vaccinazione specifica verso questo batterio, da farsi prima dell’uso del farmaco, con un vaccino specifico  (tetravalente coniugato), facilmente reperibile. 



Figura 10 di 24.

Il danno da ischemia e riperfusione rappresenta un momento importante per il destino di un rene trapiantato. Ricordo che questa fase manca nel trapianto da donatore vivente (dove il rene prelevato viene subito trapiantato) e questo rappresenta una delle ragioni dei migliori risultati rispetto  al trapianto da donatore deceduto, pur in assenza di una buon match HLA, come spesso avviene per i trapianti non consanguinei.

Durante la fase di riperfusione si verificano processi infiammatori mediati dalla immunità innata ed in questo processo, l’attivazione del complemento con la produzione di fattore C5a sembra avere un ruolo prioritario. I processi infiammatori C5a correlati sembrano responsabili anche di una maggiore espressione degli antigeni di istocompatibilità HLA con conseguente attivazione del sistema immunitario acquisito  dell’ospite. Impedire la sintesi di C5a con Eculizumab sembra essere una strategia potenzialmente efficace a prevenire il danno da riperfusione. Diversi studi sperimentali hanno documentato il ruolo di  C5a in questo processo. Attualmente è in corso uno studio randomizzato multicentrico internazionale con l’obiettivo di valutare l’efficacia e la sicurezza di due dosi di Eculizumab, pre riperfusione e dopo 24-48 ore dal trapianto. Per ora rimaniamo in attesa dei risultati di questi studi. 



Figura 11 di 24.

Un altra possibile indicazione all’utilizzo di Eculizumab nel campo del trapianto di rene, riguarda la prevenzione del rigetto acuto umorale in soggetti immunizzati, cioè sottoposti a trapianto di rene ma con anticorpi antiHLA del donatore (DSA) preformati, cioè già presenti prima dell’intervento. Questo tipo di trapianto, un tempo sempre proibito, oggi è possibile, ma solo se effettuato dopo particolari procedure (il ricevente deve essere prima  “trattato” con plasmaferesi e con altri farmaci, tipo Rituximab, Bortezomib, IgEV ad alte dosi, etc), in modo da ridurre il titolo degli anticorpi ad una soglia compatibile con il trapianto ed evitare il rigetto acuto immediato. Questi pazienti rimangono comunque ad alto rischio di rigetto acuto umorale nelle prime settimane dopo trapianto. Eculizumab, grazie al suo meccanismo di azione potrebbe risultare particolarmente efficace nel prevenire la comparsa di un rigetto umorale in questa specifica categoria di pazienti.

La diapositiva riassume l’esperienza di Stegall e coll della  Mayo Clinic di  Rochester. Rappresenta la più importante in questo ambito oggi disponibile. Si tratta comunque di una esperienza non randomizzata, bensì  un confronto di due protocolli immunosoppressivi utilizzati sequenzialmente in due periodi diversi, in pazienti immunizzati: i pazienti venivano sempre trattati con plasmaferesi prima del trapianto in modo da ridurre il titolo dei DSA. Dopo trapianto le procedure erano diverse: nel primo periodo i pazienti venivano trattati sempre con plasmaferesi, nel secondo periodo dopo trapianto veniva somministrato Eculizumab. Il numero delle dosi variava in base all’andamento del titolo anticorpale che veniva controllato mensilmente. Le dosi di Eculizumab e la tempistica sono riportate in diapositiva



Figura 12 di 24.

Nella diapositiva vengono riportati i risultati al 3° mese: due aspetti da sottolineare:

-l’uso di Eculizumab non ha ridotto la percentuale di pazienti con DSA a titolo elevato, quindi nessun effetto sulla produzione di anticorpi (come già detto),

-l’uso di Eculizumab ha ridotto significativamente l’incidenza di rigetto acuto umorale, dal 41% al 8%. Importante notare che nonostante il blocco dell’attivazione del complemento, l’8% dei pazienti ha presentato comunque un rigetto umorale, risultato per questo  non complemento mediato. Questo conferma quanto già detto: una parte di rigetti umorali porta a danno cellulare con un processo complemento indipendente.



Figura 13 di 24.

La valutazione istologica su biopsie protocollari, effettuate 12 mesi dopo trapianto, ha confermato i benefici di Eculizumab rispetto alla precedente terapia, comunque non assoluti.

-Eculizumab ha permesso di ridurre la percentuale di rigetti cronici umorali subclinici dal 36% al 6,2% (ricordo che le lesioni morfologiche principali per questo tipo di diagnosi sono la glomerulopatia cronica da trapianto e l’endoarterite proliferativa, però più difficile da osservare per la necessità di disporre di vasi di calibro maggiore).

-Nessuna differenza invece nella frequenza delle lesioni istologiche aspecifiche.

-Manca purtroppo la percentuale di rigetti umorali acuti subclinici valutabili attraverso le lesioni del microcircolo (glomerulite e capillarite).

Poiché è noto che il rigetto cronico umorale una volta comparso tende a progredire e rappresenta la principale causa di fallimento del trapianto, questa esperienza supporta l’ipotesi che l’utilizzo di Eculizumab, in questa particolare gruppo di pazienti, possa prolungare la sopravvivenza del trapianto. Recentemente  sono stati promossi diversi studi clinici multicentrici randomizzati per approfondire questo importante aspetto. vedi diapositiva successiva



Figura 14 di 24.

La diapositiva  riporta l’elenco degli studi attualmente in corso per valutare l’efficacia e la sicurezza di Eculizumab nel prevenire o ridurre l’incidenza di rigetto umorale acuto in pazienti immunizzati, sottoposti a trapianto da donatore vivente o deceduto.



Figura 15 di 24.

Il trapianto di rene in pazienti in dialisi a causa di una Sindrome Emolitico Uremica atipica (cioè, non causata da farmaci o agenti infettivi  ma da alterazioni dei fattori preposti al controllo dell’attivazione del complemento), rappresenta una procedura ad alto rischio di fallimento per recidiva della stessa  malattia nel rene trapiantato. Dopo trapianto il rischio di recidiva della malattia dipende soprattutto dal tipo di mutazione responsabile della malattia. Anche il rischio  di fallimento dopo recidiva dipende dal tipo di mutazione in gioco.

La diapositiva riporta, per ciascun tipo di mutazione nota, la frequenza nella diagnosi di SEUa, la frequenza della recidiva di malattia dopo trapianto, ed  il rischio di fallimento del trapianto dopo recidiva. La mutazione più frequente (20-30% di tutte le forme note) è quella a carico del fattore H. Un dato importante mostrato nella diapositiva è che una volta comparsa la recidiva, il rischio di fallimento del trapianto oscilla intorno al 100% indipendentemente dal tipo di mutazione coinvolta. Grazie al suo meccanismo di azione, Eculizumab è divenuto il farmaco di prima scelta per la prevenzione e terapia  della recidiva di SEUa dopo trapianto. 



Figura 16 di 24.

Dopo trapianto, il rischio di una attivazione incontrollata del complemento dipende dal tipo di fattore interessato dalla mutazione: maggiore in presenza di alcuni tipi  mutazioni, minore con altri tipi di mutazione (vedi diapositiva). In questo contesto, l’attivazione del complemento  può essere ulteriormente favorita da altri fattori quali: danno da ischemia/riperfusione, rigetto acuto, farmaci immunosoppressori (ciclosporina, tacrolimus, inibitori sistema mTOR), infezioni. Questi fattori possono agire da “trigger” per l’attivazione di una SEUa, ed andrebbero quindi prevenuti o ridotti, se possibile, nei pazienti a rischio di recidiva.



Figura 17 di 24.

Stabilita l’efficacia di Eculizumab nel trattare pazienti con SEUa, il punto successivo riguarda la prevenzione e la terapia della recidiva dopo trapianto. Ci sono ancora alcuni  aspetti da definire rispetto alla migliore strategia da utilizzare. Ricordo che Eculizumab viene somministrato per via EV, è molto bel tollerato, e dopo vaccinazione antimeningococcica il rischio di meningite è minimo. Purtroppo ha un costo elevatissimo e dovrebbe  quindi essere utilizzato quando realmente indispensabile.

La diapositiva riporta i tre principali quesiti in merito a questo problema. Il primo punto riguarda se trattare o meno tutti i pazienti con pregressa SEUa, il secondo se sia preferibile utilizzarlo fin dall’inizio del trapianto oppure attendere l’eventuale recidiva, ed il terzo se, una volta iniziata la terapia, sia necessario mantenerla per sempre oppure sia possibile sospenderla dopo un certo periodo di tempo.  Ripeto, l’importanza di questi quesiti dipende più dall’alto costo del farmaco (circa 300.000 euro per anno)  che dalle possibili complicanze cliniche, raramente riportate in letteratura. 



Figura 18 di 24.

Quindi, una volta stabilito che un soggetto è a rischio di recidiva di SEUa dopo trapianto di rene, un punto da stabilire è quando iniziare il trattamento con Eculizumab. Non esistono studi prospettici randomizzati che permettano di dare una risposta univoca. Possiamo solo constatare che quando utilizzato in profilassi (iniziato cioè al momento del trapianto in tutti i pazienti a rischio), nei 17 casi descritti non si è verificata nessuna recidiva di malattia e tutti i pazienti avevano un’ottima funzione renale. Il farmaco è risultato quindi efficace. Ma, quanti di questi 17 pazienti non avrebbero recidivato anche senza terapia? Non abbiamo dati per rispondere, tuttavia, quando utilizzato dopo trapianto per la terapia della recidiva, il farmaco è risultato comunque efficace nel 100% dei 14 casi descritti, ma con una funzione renale rimasta deteriorata nel 57% dei casi.  Importante quindi chiedersi se sia possibile evitare questo parziale fallimento. Sembra che la tempestività  del trattamento sia essenziale ad impedire un peggioramento della funzione renale che potrebbe diventare irreversibile. Questo aspetto viene affrontato nella  diapositiva  successiva.



Figura 19 di 24.

Secondo Zuber, uno dei massimi esperti del problema,  iniziare la terapia con Eculizumab entro 28 giorni dalla comparsa della recidiva permetterebbe un recupero completo della funzione renale, che sarebbe invece parziale in caso di un ritardo della terapia. Questo dato, insieme alla risposta alla terapia  di tutti i casi di recidiva, porta ad ipotizzare  la possibilità di una strategia alternativa alla profilassi, che preveda di  attivare un monitoraggio  mensile dei principali parametri di malattia (emocromo, aptoglobina, CH50, LDH) ed iniziare la terapia solo in presenza di segni clinici e sierologici di malattia. Questo atteggiamento permetterebbe di limitare l’uso di Eculizumab ai soli pazienti che ne necessitino. Tuttavia solo uno studio prospettico randomizzato potrebbe dare  una risposta sull’ efficacia e sicurezza di queste due diverse strategie,  ma questo studio per ora non è disponibile. La terapia «pre-emptive» rimane quindi una possibilità terapeutica da considerare in alternativa alla profilassi con vantaggi e svantaggi non ancora documentati.



Figura 20 di 24.

Un terzo aspetto da considerare riguarda la durata della terapia con Eculizumab in pazienti con recidiva di SEUa. Deve essere continuata per sempre oppure è possibile interromperla dopo un certo intervallo di tempo? Anche su questo punto mancano studi che permettano di esprimere una risposta univoca. I termini del problema sono i seguenti: da un lato la sospensione della terapia potrebbe esporre il paziente al rischio di una ripresa della malattia, dall’altro, la necessità di mantenere per sempre una terapia così costosa dovrebbe essere ben documentata. Recentemente Ardissino ha pubblicato la sua esperienza di sospensione dell’Eculizumab in 10 casi pediatrici, non trapiantati di rene, con pregressa SEUa, guarita dopo terapia con Eculizumab. La sospensione del farmaco è stata effettuata dopo una durata della terapia diverso da caso a caso. Una recidiva della malattia è stata osservata in tre dei 10  pazienti, sempre entro le prime 6 settimane dalla sospensione. In tutti casi la ripresa del farmaco è stata efficace nel riportare a guarigione il paziente. Sebbene questa sia una esperienza piccola e limitata nel tempo, dimostra che in alcuni pazienti può essere possibile sospendere la terapia.  Mancano per ora dati nel trapianto, ed il quesito iniziale rimane lontano dall’essere risolto. Inoltre  nel trapianto la problematica può essere ancora più complessa che nella popolazione generale. Infatti, una ri-attivazione del complemento dopo sospensione della terapia potrebbe essere favorita dall’uso di certi farmaci immunosoppressori o dalla comparsa di una infezione severa, rischio a cui il paziente trapiantato è maggiormente esposto.



Figura 21 di 24.

Un altro ambito in cui l’uso dell’Eculizumab potrebbe essere efficace riguarda la recidiva di una patologia “rara” ma molto grave quando presente, mi riferisco alla nefrite in corso di sindrome da anticorpi antifosfolipidi. La recidiva compare solitamente durante le prime settimane, raramente oltre il 6°mese post trapianto. L’uso di plasmaferesi si è rivelato inefficace nell’indurre una remissione della recidiva.  L’Eculizumab è risultato invece molto effiace. La diapositiva riporta le modalità con cui il farmaco è stato impiegato nei casi clinici descritti. Da segnalare due aspetti: nessuna necessità di profilassi, e possibilità di sospendere il farmaco dopo alcuni mesi senza rischio di ulteriori recidive della malattia.



Figura 22 di 24.

Infine, l’Eculizumab è stato proposto per la  terapia della recidiva dopo trapianto della glomerulonefrite membranoproliferativa tipo 2 o più generalmente delle glomerulonefriti C3 positive. Si tratta di una indicazione ancora da documentare, poichè ad oggi sono stati descritti solo pochi casi clinici. E’ in corso uno studio clinico internazionale con lo scopo di valutare l’efficacia e la sicurezza di questa indicazione sia nell’ambito delle forme primitive che delle recidive dopo trapianto. Per ora rimane quindi una indicazione con una base razionale, ma da documentare nella pratica clinica.



Figura 23 di 24.

La diapositiva riassume le conclusioni relative all’uso di Eculizumab nell’ambito della problematica relativa al rigetto umorale:

-gli studi disponibili permettono di ritenere questo farmaco efficace sia per la  prevenzione che per la terapia del rigetto acuto umorale.

-risulta invece inefficace nell’impedire al ricevente di sviluppare  anticorpi anti-HLA del donatore (DSA).

-in merito alla prevenzione del rigetto cronico umorale, non ci sono ancora dati consistenti, ma alcuni studi clinici sono attualmente in corso e potranno, a breve, dare una risposta anche a questo quesito.



Figura 24 di 24.

Quest’ultima diapositiva riassume le conclusioni relative all’uso di Eculizumab nell’ambito di altre problematiche, specifiche del trapianto di rene.

Eculizumab potrebbe risultare efficace nel ridurre il danno da ischemia/riperfusione che si incontra nel trapianto da donatore deceduto. Uno studio internazionale multicentrico è attualmente in corso per chiarire questo aspetto.

Eculizumab risulta efficace nel prevenire e trattare la recidiva di SEUa dopo trapianto di rene (unico impiego riconosciuto dall’AIFA nell’ambito del trapianto di rene). Risulta efficace anche nella terapia della recidiva della nefrite secondaria alla sindrome da anticorpi antifosfolipidi , mentre rimane ancora da stabilire il suo ruolo nella terapia della recidiva della GNMP tipo 2 o più in generale,  delle glomerulonefriti C3 positive.

In conclusione, si tratta di un farmaco sicuramente innovativo, efficace per la prevenzione e terapia di problematiche cliniche diverse e ben tollerato. Oggi il suo impego nella pratica clinica è impedito  sia  dal prezzo, molto elevato, sia  dal fatto che risulta off label per tutte le condizioni considerate, eccetto che per la SEUa. Gli studi in corso potranno forse offrire maggiori possibilità di impiego  nel prossimo futuro.



Parole chiave: eculizumab

Per partecipare al Corso di Formazione a Distanza è necessario:

  • Effettuare, al primo accesso, la registrazione cliccando sul pulsante "Registrati"
  • Compilare l’apposito modulo di registrazione

Se sei già registrato fai la login con utente e password.



Realizzazione: TESISQUARE®
Per assistenza tecnica sul sito: fad@wooky.it
Per assistenza ECM: Infomedica, info@infomedica.com
Tel. 011.859990 (dal lunedì al venerdì, ore 9.30-12.30 / 14.30-17.30)