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FAD Discussioni nefrologiche – La FAD della SIN 2015


La nefropatia diabetica e la proteinuria: un problema di definizione o di diagnosi?

Nefropatia diabetica e rischio cardio-renale

release pubblicata il  11 marzo 2015 
da Maura Ravera

Figura 1 di 39.

TITOLO: Nefropatia diabetica e rischio cardio-renale



Figura 2 di 39.

Questa presentazione si sviluppa analizzando quattro fondamentali aspetti della nefropatia diabetica:

  1. epidemiologia  2. rischio renale associato alla nefropatia diabetica 3. rischio cardiovascolare associato  alla nefropatia diabetica 4. implicazioni terapeutiche per la reno- e per la cardioprotezione


Figura 3 di 39.

L’incidenza di uremia terminale [End Stage Renal Disease (ESRD)]  nella popolazione diabetica si è progressivamente ridotta a partire dalla metà degli anni ’90 anche per effetto dei progressi raggiunti nello screening, nella diagnosi e nel trattamento dei fattori di rischio e di progressione del danno renale e cardiovascolare. Nonostante ciò, il diabete, in particolare il diabete mellito tipo 2,  resta la principale causa di uremia nei paesi a elevato sviluppo come gli Stati Uniti.



Figura 4 di 39.

Ciò è dovuto al fatto che aumentando la prevalenza di diabete nel corso degli anni  è anche aumentata  la prevalenza di malattia renale diabetica (DKD).



Figura 5 di 39.

La storia naturale della nefropatia diabetica è stata descritta dettagliatamente da Mogensen  nel diabete tipo 1 già agli inizi degli anni ’80. Dopo una fase di normoalbuminuria, i pazienti “progressori” sviluppano nefropatia incipiente caratterizzata da microalbuminuria [escrezione urinaria di albumina (AER) compresa tra 30 e 300 mg/24 ore (20-200 μg/min)], mentre il filtrato glomerulare (GFR) è normale o addirittura aumentato. Successivamente compare la nefropatia clinica, caratterizzata da macroalbuminuria[albuminuria >300 mg/24h o >200 μg/min]; in questa fase, nei pazienti non trattati, inizia un lento e progressivo declino del GFR che porta all’uremia terminale. Nel diabete tipo 2 il decorso è simile.  



Figura 6 di 39.

Nel DM tipo 2  la prevalenza di microalbuminuria oscilla tra il 20 e il 30% con un trend in discesa se si considera che le prevalenze più alte sono quelle riportate dagli studi condotti nella seconda metà degli anni ‘90.



Figura 7 di 39.

Questo trend è ancora più marcato per la macroalbuminuria: gli studi  degli anni ‘90 riportano  in effetti prevalenze di marco albuminuria del 15-20 % mentre in quelli successivi e piu’ recenti tale prevalenza si è attesta intorno al 4-5%.



Figura 8 di 39.

Studi recenti dimostrano che la prevalenza di  GFR ridotto, al di sotto di 60 ml/min/1.73 m2, oscilla tra il 15 e il 27%.



Figura 9 di 39.

Il dato più interessante  che emerge da questi studi è che oltre la metà dei pazienti con GFR inferiore a 60 ml/min/1.73 m2 non ha albuminuria. Questo dato contrasta con la visione tradizionale della storia naturale della nefropatia diabetica, in cui la microalbuminuria rappresenta caratteristicamente il primo segno di danno renale e può eventualmente progredire a macroalbuminuria, che predice il successivo

declino del GFR.

Quindi esisterebbero due fenotipi di danno renale nel paziente diabetico, un fenotipo albuminurico e uno non albuminurico.  Entrambe queste tipologie di pazienti hanno comunque un elevato rischio renale e cardiovascolare.



Figura 10 di 39.

In questa sezione verrà analizzato il rischio renale associato alla nefropatia diabetica.



Figura 11 di 39.

Vari sono i fattori che influenzano lo sviluppo e la progressione di danno renale in corso di diabete:

Fattori legati al diabete

• Scadente controllo glicemico

• Ipertensione arteriosa

• Microalbuminuria/proteinuria

• Dislipidemia

• Fumo

• Diabete di lunga durata

Fattori genetici

• Sesso maschile

• Familiarità per ipertensione arteriosa, nefropatie e

malattie cardiovascolari

• Appartenenza razziale o etnica

• Polimorfismi genici

Altri

•  Iperfiltrazione/ipertrofia (?)

• Oligonefropatia (?)

In questa presentazione si  focalizzerà l’attenzione su controllo glicemico, pressione arteriosa ed escrezione urinaria di albumina come fattori di rischio renale.



Figura 12 di 39.

Per quel che riguarda il ruolo dello scadente controllo glicemico, lo studio di Yokoyama et al ha valutato 426 pazienti con DM tipo 2 seguiti per 6,8 anni e ha dimostrato  che maggiori sono i livelli di emoglobina glicata maggiore è lo sviluppo di proteinuria persistente .



Figura 13 di 39.

Un altro fattore importante coinvolto nella progressione del danno renale in corso di diabete è l’ipertensione arteriosa.

Lo studio di Rossing et al, che ha valutato 227 pazienti affetti da diabete tipo 2 e nefropatia seguiti per oltre 6 anni ha dimostrato la stretta correlazione tra livelli crescenti di pressione sistolica e più rapido declino del GFR. 



Figura 14 di 39.

La presenza di proteinuria basale rappresenta di per se’ un potente predittore indipendente di uremia terminale in corso di diabete mellito. Lo studio IDNT ha dimostrato su oltre 1700 pazienti ipertesi con DM tipo 2 e nefropatia conclamata che al raddoppiare della proteinuria raddoppia anche il rischio di sviluppare end point renali  (ESRD con necessità di dialisi o trapianto e raddoppio della creatinina).



Figura 15 di 39.

L’associazione tra albuminuria basale e rischio renale è stata confermata dallo studio ADVANCE in una popolazione di pazienti diabetici a basso rischio renale. L’ADVANCE ha reclutato infatti oltre 10.000 pazienti con DM tipo 2 ma con un GFR superiore a 60 ml/min/1.73 m2 nell’ 80% della popolazione in studio, mentre solo  il 4% era proteinurico.

Lo studio ha dimostrato che se l’albuminuria aumenta di 10 volte, il rischio di eventi renali -rappresentati da un end point composito di morte per cause renali, uremia con necessità di dialisi o trapianto o raddoppio della creatininina- triplica; dopo  aggiustamento per possibili fattori confondenti questo rischio diventa   addirittura 10 volte superiore.



Figura 16 di 39.

Lo studio ADVANCE ha anche dimostrato che GFR e albuminuria valutati al basale sono predittori indipendenti di “outcome” renale. In particolare si osserva un effetto addittivo tra GFR e albuminuria: i pazienti con macroalbuminuria e GFR inferiore a 60 ml/min/1.73 m2 hanno un rischio di eventi renali 22 volte superiore a quello di soggetti normoalbuminurici con GFR superiore a 90 ml/min/1.73 m2.  E’ quindi fondamentale valutare entrambe i test renali, albuminuria e GFR, per valutare il rischio renale di questi pazienti. Un solo test non stimerebbe accuratamente il rischio renale globale.



Figura 17 di 39.

In questa sezione verrà analizzato il rischio cardiovascolare associato alla nefropatia diabetica.



Figura 18 di 39.

I pazienti che hanno malattia renale in corso di diabete hanno anche elevato rischio cardiovascolare. Questo è stato dimostrato in maniera inequivocabile dal CKD Prognosis Consortium che ha valutato oltre 1.000.000 di soggetti chiarendo che la mortalità cardiovascolare:

- aumenta significativamente al ridursi del GFR (sulla destra della diapositiva ) e

-aumenta significativamente man mano che l’Albuminuria aumenta (sulla sinistra della diapositiva).  

Questa relazione descritta nella la popolazione generale (in blu) è ancor più significativa nella popolazione diabetica (in rosso).



Figura 19 di 39.

Ma questi dati del CKD Prognosis Consortium hanno radici nel passato:

Già nel 1996 Miettinen et al avevano dimostrato che la proteinuria era un predittore indipendente di morbilità e mortalità cardiovascolare  anche quando di poco superiore ai valori normali.



Figura 20 di 39.

Il Progetto GENOA che ha analizzato una coorte italiana di oltre 7000 diabetici ipertesi seguiti in primary care ha dimostrato non solo la stretta associazione tra GFR al di sotto di 60 ml/min/1.73 m2 ed eventi cardiovascolari pregressi, ma anche tra GFR ridotto e ipertrofia ventricolare sinistra diagnosticata all’ECG, espressione di danno d’organo subclinico.



Figura 21 di 39.

Lo studio RIACE - condotto in 19 centri diabetologici italiani che hanno reclutato quasi 16000 pazienti diabetici- ha esaminato il ruolo combinato di GFR e albuminuria, dimostrando che la prevalenza di eventi cardiovascolari aumenta progressivamente passando dall’albuminuria isolata, a GFR inferiore a 60 ml/min/1.73 m2 in assenza di albuminuria;  la condizione a maggior rischio si riscontra quando  coesistono entrambe le anomalie renali, cioè GFR ridotto e albuminuria elevata. 



Figura 22 di 39.

Inoltre, sempre nello studio RIACE gli eventi coronarici sono risultati associati in maniera predominante con un GFR ridotto, mentre gli eventi cerebrovascolari e periferici hanno mostrato una più significativa associazione con il fenotipo albuminurico di malattia renale. Ciò potrebbe esprimere una possibile diversa patogenesi del danno renale in corso di diabete: danno macroangiopatico nella forma non albuminuria, microangiopatico nella forma albuminurica. Questi dati cross-sectional dovranno ovviamente essere confermati da analisi longitudinali.



Figura 23 di 39.

Tra gli studi longitudinali oggi disponibili in letteratura, lo studio ADVANCE dimostra, analogamente a quanto già visto per l’outcome renale, un effetto combinato di albuminuria e GFR sul rischio di eventi cardiovascolari e di mortalità cardiovascolare. Il rischio è più elevato quando sono presenti contemporaneamente macroalbuminuria e  GFR  inferiore a  60 ml/min/1.73 m2.



Figura 24 di 39.

Questi dati sono confermati da un altro ampio trial condotto in pazienti con DM tipo2 seguiti per 5 anni, lo studio FIELD, che ha reclutato quasi 10.000 soggetti a basso rischio (infatti il 95% della popolazione in studio aveva un GFR superiore a 60 ml/min/1.73 m2 e solo il 4% aveva macroalbuminuria). Come nello studio ADVANCE, anche in questo studio i soggetti che presentavano  GFR ridotto e Albuminuria erano quelli con il più alto rischio cardiovascolare.



Figura 25 di 39.

Lo studio ADVANCE fornisce inoltre  un’altra importante informazione: l’importanza prognostica di albuminuria o GFR ridotto  non si riferisce solo ai loro valori basali ma anche alle loro variazioni nel tempo.

In particolare è stato stimato che se l’albuminuria aumenta di 10 volte nel corso del follow-up, il rischio cardiovascolare raddoppia nel caso di pazienti diabetici con  GFR superiore a  60 ml/min/1.73 m2 e addirittura triplica se il GFR è inferiore a 60 ml/min/1.73 m2.



Figura 26 di 39.

E lo stesso si osserva per il GFR.

E’ stato stimato che se il GFR si dimezza, il rischio cardiovascolare raddoppia in assenza di albuminuria  e addirittura triplica in presenza di albuminuria.



Figura 27 di 39.

Tutto ciò ha ovviamente importanti implicazioni terapeutiche sia in termini di renoprotezione sia di cardioprotezione.



Figura 28 di 39.

Per quel che riguarda la renoprotezione, la metanalisi di Coca et al ha dimostrato che il controllo glicemico intensivo è più efficace del controllo glicemico standard nel prevenire lo sviluppo di macroalbuminuria in pazienti diabetici che hanno già microalbuminuria.



Figura 29 di 39.

Il controllo pressorio è un cardine della renoprotezione in corso di diabete mellito.

Lo studio ADVANCE ha dimostrato che minori solo i livelli di pressione arteriosa sistolica raggiunti con il trattamento minore è il rischio di “outcome” renali.



Figura 30 di 39.

L’inibizione del sistema renina angiotensina aldosterone (RAAS) svolge un ruolo chiave nella prevenzione secondaria, cioè nella prevenzione dello sviluppo di macroalbuminuria in pazienti  diabetici con microalbuminuria.



Figura 31 di 39.

Gli studi IDNT e RENAAL , che hanno reclutato pazienti ipertesi con diabete tipo 2 e nefropatia conclamata,  hanno dimostrato l’efficacia degli antagonisti recettoriali nella prevenzione terziaria.



Figura 32 di 39.

Un effetto renoprotettivo è inoltre conseguito con la riduzione della proteinuria di per sé.

Lo studio IDNT ha infatti dimostrato che se la proteinuria si dimezza , si dimezza anche il rischio di uremia terminale o di raddoppio della creatinina.



Figura 33 di 39.

La riduzione della proteinuria non ha solo effetti renoprotettivi ma anche cardioprotettivi.

L’analisi del database DIAMETRIC, che ha considerato in un unico pool i pazienti dello studio RENAAL  e dello studio IDNT per un totale di oltre 3000 soggetti, ha dimostrato che se la proteinuria nei primi 6 mesi di trattamento si riduce, si riduce anche il rischio cardiovascolare.



Figura 34 di 39.

Questo effetto cardioprotettivo della riduzione della proteinuria è stato confermato anche dallo studio FIELD che ha un follow-up di 5 anni.

I dati sono molto interessanti: se un paziente al basale presenta albuminuria e dopo 2 anni è ancora albuminurico, questo paziente  presenterà il rischio cardiovascolare più alto. Se però dopo 2 anni questo paziente non presenta più albuminuria il suo rischio cardiovascolare si riduce. In maniera speculare se il paziente non albuminurico nell’arco di 2 anni diventa albuminurico il suo rischio cardiovascolare aumenta.



Figura 35 di 39.

Analogamente accade per il GFR. Se il GFR al basale è normale ma nel follow-up il GFR si riduce sotto i 60 ml/min/1.73 m2, il rischio cardiovascolare aumenta.

Quindi è importante monitorare  l’andamento nel tempo dei test renali, albuminuria e GFR.



Figura 36 di 39.

 In conclusione i pazienti con malattia renale in corso di diabete hanno un elevato rischio renale e cardiovascolare.

Nel confronto tra rischio renale e rischio cardiovascolare emerge che:

- microalbuminuria o albuminuria inferiore a 1g/g o GFR normale o superiore a 45  ml/min/1.73 m2 comportano una probabilità di morire per cause cardiovascolari maggiore di quella di sviluppare ESRD con necessità di dialisi o trapianto.

- albuminuria superiore a  1g/g o GFR inferiore a 45  ml/min/1.73 m2 comportano una maggior probabilità di progredire verso l’uremia terminale e di avere bisogno di dialisi; il rischio cardiovascolare resta elevato.

Quindi è fondamentale determinare Albuminuria e GFR per conoscere il rischio renale e cardiovascolare dei pazienti  diabetici.



Figura 37 di 39.

Nel “real world” la consapevolezza di malattia renale da parte dei medici di medicina generale è bassa anche quando è presente il diabete, e risulta inferiore al 20% sia negli Stati Uniti, sia in Italia  anche quando il GFR  è già ridotto  al di sotto di 60 ml/min/1.73 m2.



Figura 38 di 39.

E’ inoltre sorprendente che a fronte di tutte le evidenze che supportano lo stretto legame tra rene e cuore, la maggior parte dei calcolatori del rischio cardiovascolare ad oggi disponibili, incluso quello dell’UKDPS per i pazienti diabetici non tengano conto del ruolo del rene.



Figura 39 di 39.

In questo studio che ha valutato circa 70,000 ipertesi, di cui oltre 12,000 diabetici, seguiti in primary care sia nel Regno Unito (paese considerato ad alto rischio cardiovascolare) sia in Italia (paese notoriamente considerato  a basso rischio) e’ stato chiaramente dimostrato che aggiungere l’informazione della funzione renale ai fattori di rischio cardiovascolari tradizionali utilizzando il calcolatore INDANA migliora in modo rilevante l’accuratezza prognostica di mortalità cardiovascolare.

Utilizzare quindi il calcolatore del rischio cardiovascolare INDANA su larga scala e nella pratica clinica quotidiana potrebbe consentire di  identificare in maniera piu’ accurata i pazienti diabetici a elevato rischio cardio-renale.



Parole chiave: nefropatia diabetica

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