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L’ANTICOAGULAZIONE CON CITRATO: ESPERIENZE A CONFRONTO


L’anticoagulazione locoregionale con citrato: esperienze a confronto, CPFA

release pubblicata il  25 novembre 2013 
da Maria Elisabetta Balocco

Figura 1 di 31.

Introduzione



Figura 2 di 31.

CPFA: COUPLED PLASMA FILTRATION ADSORPTION – FUNZIONAMENTO

La CPFA  è finalizzata a rimuovere i ‘mediatori in eccesso’ della sepsi. Questa nuova terapia di depurazione extracorporea prevede la separazione del plasma dal sangue mediante un plasmafiltro. Il plasma è fatto passare attraverso una resina stirenica in grado di adsorbire mediatori pro e anti infiammatori. Il plasma così depurato viene successivamente restituito al paziente. A questo primo stadio segue, in serie, un emofiltro



Figura 3 di 31.

Le frecce puntate sul paziente indicano gli organi e gli apparati coinvolti nella sepsi severa.

Sistema nervoso centrale, Apparato respiratorio, Fegato, Apparato cardiovascolare, Rene, Apparato ematologico



Figura 4 di 31.

Uno dei principali organi bersaglio di un qualsiasi processo settico è l’endotelio vascolare la cui alterazione porta alla formazione di microtrombi, con conseguente occlusione dei capillari, ipossia e necrosi tessutale.



Figura 5 di 31.

L’ American College Of  Chest Physicians e la Society Of Critical Care Medicine (ACCP/SCCM), l’European Society of Intensive Care Medicine (ESICM), l’American Thoracic Society (ATS),e a Surgical Infection  Society (SIS) hanno elaborato Linee Guida per migliorare le definizioni correnti di sepsi, sepsi severa e shock settico.



Figura 6 di 31.

Lo shock settico caratterizzato dalla disfunzione multipla d’organo colpisce il 5% dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva con una mortalità in TI e ospedaliera rispettivamente del 56% e del 65% (dati GiViTi 2001).



Figura 7 di 31.

L’insufficienza renale acuta (IRA) in corso di sepsi in terapia intensiva è una delle principali cause di mortalità. La patogenesi dello shock settico è il risultato dell’equilibrio tra una fase proinfiammatoria e una fase antinfiammatoria, conseguente alla liberazione di citochine. La CPFA, combinando un plasma-adsorbimento non selettivo a un trattamento convettivo continuo “slow”, è in grado di ridurre i picchi citochinici.



Figura 8 di 31.

La resina stirenica costituisce un sorbente ad alta biocompatibilità in grado di adsorbire le citochine e i mediatori della sepsi. Numerosi studi  preliminari hanno dimostrato l’efficacia della CPFA nel rimuovere citochine e fattori attivati del complemento e nel ripristinare la stabilità emodinamica del paziente settico, con riduzione della necessità di amine vasoattive e miglioramento della perfusione del microcircolo tessutale.



Figura 9 di 31.

La CPFA è un sistema integrato di emofiltrazione continua (CVVH), che utilizza un emofiltro (DIAPES-HF m2 1.4, sterilizzato a raggi gamma), costituito da una membrana a elevata biocompatibilità in polieteresulfone, un plasmafiltro costituito da membrana a elevata biocompatibilità in polieteresulfone, e una cartuccia sorbente, contenente 70 g di resina stirenica ad alta biocompatibilità (superficie m2/g 700 con diametro interno dei pori di 30 nm, sterilizzata a calore umido), in grado di adsorbire l’α2-macroglobulina che rappresenta il carrier plasmatico delle citochine.



Figura 10 di 31.

Lo studio valutava la capacità di absorbimento della cartuccia di resina stirenica per rimuovere vari mediatori infiammatori e citochine in vitro ed in vivo. La CPFA ha mostrato un adsorbimento superiore per: IL- 1α , IL- 6 , IL- 8 , MIP - 1α e MIP - 1β , TNFa , MCP , mioglobina.

IL- 6 era particolarmente adsorbita dalla cartuccia. La media delle concentrazioni di IL-6 dei pazienti trattati pre CPFA era di 1.775 ± 3757 pg/ml, mentre post CPFA era di 995 ± 2178 pg/ml. La concentrazione plasmatica di IL-6 post-cartuccia era sotto il livello di rilevazione.



Figura 11 di 31.

L'obiettivo di questo studio era di valutare la rimozione ex vivo di citochine con un circuito extracorporeo che accoppiava un’ emofiltrazione con filtro a larghi pori e un sorbente. Il trattamento consisteva in un  emofiltro in polisulfone (dimensione media dei pori 150 kDa) e una cartuccia di carbone attivo.

La maggior parte delle citochine nel circuito sono state rimosse, ad eccezione di IL-10. La cartuccia ha adsorbito il 90% di IL-1, 72% di IL-6, 100% di IL-8 e 7% di TNF durante ogni passaggio.



Figura 12 di 31.

Dal 2201 al 2006 al San Giovanni Bosco di Torino sono stati effettuati 316 trattamenti di CPFA, con durata una durata prevista di 10 ore per seduta ed una durata effettiva di ore 8.33±  1.23. La mortalità è risultata a 28 giorni del 22.9% e a 90 giorni del 39,6 %.



Figura 13 di 31.

Il Qb medio dei trattamenti è stato 200.6 ± 23.4 ml/min, con utilizzo di una dose convettiva di 25.6 ± 6.5 ml/kg/h.



Figura 14 di 31.

Nel 2006 in collaborazione con il GiViTi  è iniziato lo studio COMPACT allo scopo di chiarire se l’applicazione della CPFA, in aggiunta alla pratica clinica corrente, avesse o meno la capacità di ridurre la mortalità dei pazienti con shock settico ricoverati in Terapia Intensiva. Lo studio multicentrico randomizzato controllato, prevedeva un avvio precoce del trattamento  6-8 ore dalla diagnosi di shock settico.



Figura 15 di 31.

Nella slide si evidenzia la  mortalità ospedaliera e in terapia intensiva, valutata secondo terzili di volume medio di plasma trattato per kg di peso corporeo al giorno. La mortalità ospedaliera dei pazienti che rientrano nel terzo terzile (≥ 0,18 l/kg/die di plasma trattati nei primi 5 giorni) è stata statisticamente inferiore rispetto al gruppo di controllo. I pazienti che sono stati sottoposti a CPFA trattando un volume di plasma più basso hanno avuto risultati simili ai controlli .



Figura 16 di 31.

Nel novembre del 2010, il comitato esterno di monitoraggio dello studio (EDSMC) ha richiesto l’interruzione anticipata dello studio per  il tasso di reclutamento basso e l'elevato numero di violazioni del protocollo nel braccio CPFA in termini di basso volume di plasma trattato al giorno. Il 4% dei pazienti ha ricevuto un trattamento con avvio ritardato e insufficiente, il 24%  una dose di plasma  inferiore a 10 lt ( quantità minima di plasma prevista per sospendere la seduta).



Figura 17 di 31.

L’impossibilità di ottenere una dose dialitica e plasmatica sufficiente è dovuta ad una serie di fattori



Figura 18 di 31.

Il trattamento è complesso (più filtri in sequenza) e somministrato a pazienti con un quadro clinico grave

E’ impossibile utilizzare un anticoagulante sistemico nella maggior parte dei casi con rischio aumentato di coagulazione del circuito

Difficile utilizzare l’anticoagulazione  locoregionale eparina-solfato di protamina

La coagulazione del circuito e il relativo rimontaggio aumentano il down time, i costi e il carico di lavoro dell’equipe infermieristica



Figura 19 di 31.

Una valida alternativa è rappresentata dall’anticoagulazione loco-regionale con citrato.



Figura 20 di 31.

Il razionale dell’anticoagulazione con citrato risiede nella stessa fisiologia della coagulazione che richiede come cofattore proprio il calcio nella sua forma attiva, il calcio “ionizzato” (Ca++).  Il citrato agisce come anticoagulante grazie alla capacità di formare complessi stabili con il calcio.



Figura 21 di 31.

Il sodio citrato viene infuso all’inizio del circuito extracorporeo nella linea arteriosa e si lega al calcio ematico, il complesso Citrato-Calcio viene ultrafiltrato e parzialmente eliminato nell’effluente. Il citrato che entra nell’organismo viene metabolizzato dal fegato e dai muscoli e trasformato in bicarbonato. Calcio cloruro viene infuso nella parte terminale della linea venosa per ripristinare la perdita di calcio. Il citrato raggiunge elevate concentrazioni in grado di chelare lo iCa++ e mantenerlo sui valori compresi tra 0,2-0,4 mmol/l, mentre a livello sistemico devono essere rispettate concentrazioni fisiologiche di 1,0-1,2 mmol/l.



Figura 22 di 31.

L’anticoagulazione loco regionale con citrato riduce il rischio emorragico rispetto all’eparina. La complessità del trattamento tuttavia suggerisce l’utilizzo di questa metodica nelle unità in cui si è raggiunto un sufficiente livello di competenza. Guidelines AKI 9.2 2009

Tuttavia l’utilizzo di protocolli di gestione del trattamento ne ha semplificato l’utilizzo e reso sicuro l’impiego in termini di prevenzione delle complicanze sul paziente e di operare in sicurezza per l’équipe infermieristica.



Figura 23 di 31.

Il Protocollo di anticoagulazione loco-regionale con Citrato, sviluppato dal Dott. Marco Pozzato e presentato all'American Society of Nephrology nel 2011, ha agevolato la prescrizione della terapia con il citrato e il monitoraggio del paziente da parte del personale infermieristico. Il protocollo prevede un’infusione di sodio citrato per garantire una concentrazione ematica di 3 mmol/L,  in prediluizione nella line arteriosa pre plasmafiltro, un Qb di 150 ml/min, una post diluizione che varia in base al peso del paziente, una quota di plasma che varia dal 10 al 20 % del Qb  e un’infusione di Calcio Cloruro al 10%  (680 mmol/L) nella parte terminale della linea venosa. Il variare della velocità della pompa sangue modifica di conseguenza l’infusione di citrato. In corso di seduta vengono eseguiti dei prelievi per controllare il dosaggio del calcio ionizzato sistemico  che dovrà essere mantenuto tra gli 1-1.2mmol/L  (dosaggio fisiologico del paziente) e post filtro che dovrà essere mantenuto tra gli 0,2-0,4 mmol /L ( dosaggio che consente la scoagulazione del circuito). Eventuali aggiustamenti sono eseguiti in corso di seduta. I controlli sono eseguiti a 30 min dall’inizio del trattamento ad 1 ora, a 2 ore e in seguito ogni 6 ore. Il prelievo post filtro verrà eseguito a 30 min dall’inizio e ogni 6 ore. Il rapporto tra Calcio totale e Calcio ionizzato viene eseguito ogni 24 h e deve essere < 2,5.



Figura 24 di 31.

La sorveglianza in corso di seduta coinvolge sia gli infermieri di dialisi che gli infermieri di terapia intensiva, ha lo scopo di preservare i parametri vitali del paziente e la funzionalità del circuito. Su di un apposito documento cartaceo che assume un valore legale ai fini giuridici, vengono registrate le variazioni dei parametri del paziente e le misure terapeutiche adottate, l’aggiustamento della dose di Calcio Cloruro infuso, le variazione delle pressioni arteriosa e di rientro del circuito che esprimono il funzionamento dell’accesso vascolare, le pressioni di trasmembrana dell’emofiltro e del plasmafiltro e  la pressione transcartuccia indice di buon funzionamento del circuito.



Figura 25 di 31.

Questa soluzione di Sodio Citrato utilizzata per i trattamenti in CPFA contiene 10 mmol/l di Citrato, 2 mmol/l di Acido citrico, 136 mmol/l di Sodio e 106 mmol/l di Cloruro.



Figura 26 di 31.

Dall’1/12/2009 al 31/12/2011 sono stati trattati presso il San Giovanni Bosco di Torino  11 pazienti in CPFA con anticoagulazione regionale con citrato. Sono stati eseguiti 73 trattamenti per un totale di 733 ore, con durata media di 8,35 ± 1,0 ore, media del volume plasma di 12,20 ± 2,8 L, Qb 143 ± 12 ml/min, Qp 24,6 ±3,83 ml/min, media plasma trattato dose pro kg di 1 ± 0,37 l/kg. Media infusione CaCl2 10% di 4,5 ± 1,3 ml/h, con rapporto Ca++/iCa++  inferiore a 2.5 anche in 4 pazienti con insufficienza epatica, i controlli di iCa sono sempre rimasti nei range fisiologici iCa++1.1 ± 0.1 mmol. La bicarbonatemia di 25.3±4.8mmol/L, il pHdi 7.42±0.05, PT 57.5± 13. ±2 e PTT 50±10.7 sec.



Figura 27 di 31.

Il primo grafico mostra il buon controllo dei valori di PT e PTT dei pazienti, il secondo la media dei rapporto tra tot Ca+ + / iCa ++ per ogni paziente a dimostrazione della non-tossicità del citrato con una media dei valori che si è mantenuta sempre al disotto di 2,5.



Figura 28 di 31.

Il primo grafico mostra il buon controllo dei valori di PT e PTT dei pazienti, il secondo la media dei rapporto tra tot Ca+ + / iCa ++ per ogni paziente a dimostrazione della non-tossicità del citrato con una media dei valori che si è mantenuta sempre al disotto di 2,5.



Figura 29 di 31.

Il grafico dimostra come dal 2009 (anno in cui abbiamo iniziato ad utilizzare l’anticoagulazione loco-regionale con citrato) al 2012, l’utilizzo del citrato sia progressivamente aumentato, raggiungendo la quasi totalità dei trattamenti di CPFA.



Figura 30 di 31.

La gestione della CPFA con anticoagulazione loco-regionale con citrato presso il San Giovanni Bosco coinvolge sia l’infermiere della dialisi che l’infermiere della terapia intensiva. L’infermiere della dialisi imposta il trattamento su prescrizione del nefrologo, si occupa del montaggio del monitor e supporta l’infermiere intensivista durante tutto il trattamento, intervenendo in caso di problemi tecnici. Elabora la stesura di protocolli e procedure e la loro diffusione e assume il ruolo di consulente.



Figura 31 di 31.

L’utilizzo dell’anticoagulazione loco-regionale con citrato in CPFA ha consentito al personale sanitario di operare in sicurezza facilitando la gestione del circuito con il raggiungimento di elevati valori di plasma trattato.

La formazione del personale della terapia intensiva ha permesso di creare un vero team multidisciplinare e ha assunto nel tempo un’importanza fondamentale nella gestione di questa metodica. 



Parole chiave: citrato

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